ALTAR OF PLAGUES – Teethed Glory And Injury
Ritrovarsi ad ascoltare gruppi provenienti dall’Irlanda, negli ambienti del metal estremo, non è più una sorpresa. Per gli appassionati, il paese dei prati verdi e della birra scura ha ormai smesso di significare solo pop-rock da radio e folk da taverna da tempo, grazie a gruppi come Mourning Beloveth, Primordial e Cruachan. Negli ultimi anni, un nome in particolare ha iniziato a essere menzionato nelle discussioni sul black metal con interesse o scherno, a seconda dei punti di vista: Altar Of Plagues.
Devo ammettere di non aver seguito in maniera assidua le gesta di questo progetto originario di Cork, dando solo qualche ascolto a White Tomb nel 2009 e Mammal nel 2011. Probabilmente ne avevo già abbastanza del «black metal atmosferico» e un po’ pieno di sé che gli Altar Of Plagues sembravano incarnare all’epoca, per quanto in linea generale ne apprezzassi la musica e il concetto. Tuttavia, si tratta di un’altra scoperta della Profound Lore, a mio avviso una delle etichette più interessanti degli ultimi cinque o sei anni, e mi sono fidato del loro fiuto nel ripescarli negli ultimi mesi.
Questo terzo disco, Teethed Glory And Injury, si presenta come molto diverso dai precedenti. L’opera non è più divisa in quattro lunghi brani di oltre dieci minuti l’uno (la canzone più breve, “When The Sun Drowns In The Ocean” da Mammal, si aggirava comunque intorno agli otto minuti), bensì in nove tracce dall’amichevole durata contenuta tra i quattro e i nove minuti. Ciononostante, il suono è tutt’altro che amichevole. L’intro strumentale “Mills” prepara la scena, mettendoci gradualmente in ansia prima di sottoporci a questa nuova tortura musicale, più diretta ma forse meno coesa degli altri due album. “God Alone” è il singolo di lancio del disco (accompagnato da un video a dir poco insolito); scelta azzeccata, il pezzo è una discreta mazzata e incarna esattamente ciò che questo lavoro ha di diverso dal passato.
Non siamo più di fronte a concetti sviluppati attraverso lunghe riflessioni sonore, atmosfere che cercano di soffocarci o straziarci con costanza. Questa volta l’attacco è quasi schizoide, intermittente, non abbiamo la possibilità di focalizzarci su un’immagine mentale (per quanto sconfortante) quale poteva essere la «White Tomb» dell’esordio. È probabilmente il disco più post- e meno black della produzione degli Altar Of Plagues (qualsiasi cosa significhi), con il trio che continua a esplorare territori affini e non, in un panorama musicale che fa sempre meno caso alle classificazioni dei generi. Un aspetto negativo è che i pezzi non sempre si legano bene tra loro, facendo perdere all’album qualche punto in termini di continuità, segno di un gruppo non ancora abituato a viaggiare su queste coordinate e storicamente innamorato di visioni più lunghe.
In definitiva, Teethed Glory And Injury è un disco che si fa ascoltare e lascia ben sperare per il futuro: confermata l’intenzione degli Altar Of Plagues di non volersi adagiare e fermare su terreni già noti. Tende a diventare migliore man mano che lo si ascolta. Decisamente consigliato anche a chi non ha gradito molto i loro primi due dischi.