ALUNAH – Solennial
Questa volta devo confessare di essermene perso un pezzo, perché le ore giornalmente a disposizione sono sempre soltanto ventiquattro e le belle realtà musicali da monitorare davvero tante, tantissime; così capita dunque che gli Alunah pubblichino il quarto album, mentre il sottoscritto nemmeno si era accorto che fosse uscito il terzo. Dopo aver consumato lo splendido esordio "Call Of Avernus" e dopo aver apprezzato notevolmente anche il seguente "White Hoarhound", mi perdetti completamente il parto del 2014 "Awakening The Forest" e mi ritrovo oggi a contemplare l'evocativa copertina di "Solennial", la quale mi spalanca le porte su quello che — visti i precedenti e il tempo trascorso — mi aspetto essere un disco grandioso.
La direzione intrapresa dal quartetto britannico è subito abbastanza chiara, a partire da "Light Of Winter": gli Alunah sembrano voler declinare in una salsa più elettrica (più Black Sabbath, volendo) certe movenze psichedeliche presenti nell'operato di Jex Thoth e allo stesso tempo parrebbero voler coniugare un corposo retaggio Doom indiscutibilmente ereditato dai Cathedral con qualche atmosfera più mistica, aspetto non troppo distante da gruppi come Blood Ceremony o Jess And The Ancient Ones. Tale continua sovrapposizione di influenze prosegue per l'intera durata del lavoro, attraversando le volute fumose e vagamente ruffiane di "The Reckoning Of Time", i delicati equilibri creati tra onirici slanci di trascendente malinconia e riff muscolari ("Petrichor"), i momenti più polverosi e classici ("Feast Of Torches"), gli evanescenti istinti gotici del finale di "Lugh's Assembly" e il fascino acido delle melodie vintage ("Fire Of Thornborough Henge"): insomma il mix qualitativo risulta formalmente appetibilissimo, sebbene questo amalgama di sfumature sia stato notevolmente esplorato e sdoganato nell'ultimo decennio.
Tralasciando volutamente una chiusura affidata a una rivisitazione senza infamia e senza lode di "A Forest" dei The Cure, nonostante gli innegabili pregi evidenziati, la globalità dell'impianto musicale dei Nostri sembra a volte zoppicare un pochino. Non fraintendetemi: "Solennial" è un disco molto bello e coinvolgente, ma l'impressione trasmessa è che i pilastri sui quali nel 2010 pareva che gli Alunah fossero in procinto di costruire un possente palazzo siano ancora lievemente traballanti.
Forse alla voce di Sophie Day manca quell'impronta distintiva che caratterizza la proposta dei gruppi sopracitati, magari aleggia un po' di stanca frustrazione per risultati sperati e non ancora raggiunti, oppure come contraltare potrebbe essersi insinuata una fisiologica voglia di adagiarsi sui consensi ottenuti in precedenza. Ciò che appare certo è che manca ancora qualcosa per entrare a far parte del gotha del genere.
Pur essendo, ripeto, un album indiscutibilmente bello, per il momento mi sento di dire che "Solennial" è stato un po' un'occasione mancata per gli Alunah, un'occasione potenzialmente ottima per dimostrare una volta per tutte di saper mantenere le splendide promesse intavolate con il debutto. Staremo a vedere cosa in futuro sapranno presentarci i quattro inglesi; per ora dobbiamo accontentarci di un disco di tutto rispetto, tuttavia non ancora eccelso.