AMON AMARTH – Jomsviking | Aristocrazia Webzine

AMON AMARTH – Jomsviking

Gruppo: Amon Amarth
Titolo: Jomsviking
Anno: 2016
Provenienza: Svezia
Etichetta: Metal Blade Records
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TRACKLIST

  1. First Kill
  2. Wanderer
  3. On A Sea Of Blood
  4. One Against All
  5. Raise Your Horns
  6. The Way Of Vikings
  7. At Dawn’s First Light
  8. One Thousand Burning Arrows
  9. Vengeance Is My Name
  10. A Dream That Cannot Be
  11. Back On Northern Shores
DURATA: 52:18

C’era una volta un gruppo di vichinghi assetati di sangue cristiano, pronto a impugnare le armi e scagliarsi all’attacco dell’odiato nemico a testa bassa, incuranti del pericolo poiché protetti da Odino. Oggi il destino ha riservato cambiamenti radicali per quelle belve selvagge, che preferiscono godersi gli agi e le comodità di una vita lontano dai campi di battaglia, sorseggiando ettolitri di birra e regnando su territori e schiere di sudditi (ascoltatori) sempre più vaste.

Jomsviking segna il ritorno sulle scene degli Amon Amarth, insieme a tutto quel carico di dubbi che li accompagna dal 2011, inizio di una evidente parabola (artistica) discendente. Le nuove undici tracce confermano senza alcun dubbio che la recente svolta intrapresa dal quartetto — ora orfano dello storico batterista Fredrik Andersson, sostituito per l’occasione da Tobias Gustaffson — è definitiva: addio per sempre quindi alle antiche bordate death metal e ai pezzi rocciosi ed epici, in favore di un heavy metal (in senso lato) robusto sul versante ritmico e melodico su quello chitarristico, ma sempre affiancato dal ruggito di Johan Hegg. La maggior parte dei fan storici dovrà mettersi il cuore in pace e probabilmente terminare qui la lettura.

A livello stilistico ci troviamo su di un sentiero identico a quello imboccato in Deceiver Of The Gods, un contesto metal popolare, adatto a un pubblico di massa, che però stavolta offre canzoni maggiormente fluide e incisive, portando a compimento tutti gli spunti proposti, con l’eccezione forse dell’insistente e ripetitiva “Raise Your Horns”. Anche la copertina e la grafica in generale rispecchiano questo miglioramento, coi loro gradevoli toni fumettistici decisamente più azzeccati rispetto all’orribile immagine priva di anima del disco precedente.

La melodia domina la scaletta, alternata a frangenti più potenti, il tutto all’insegna delle soluzioni dirette e di facile presa, sublimate nei semplici(ssimi) ritornelli che si fissano subito in testa. Se le ritmiche possono variare da frangenti più rapidi (“First Kill” e “On A Sea Of Blood”) ad altri più compatti e massicci (“Wanderer” e “Raise Your Horns”) o mischiare le soluzioni (“At Dawn’s First Light”), le chitarre invece restano quasi sempre improntate all’immediatezza e mai massicce; tranne che in “Vengeance Is My Name” e in alcuni momenti della stessa “On A Sea Of Blood”. Il frangente maggiormente epico è rappresentato da “The Way Of Vikings”, dove l’atmosfera iniziale solenne diviene in seguito più battagliera, mentre “One Thousand Burning Arrows” è il classico pezzo Amon Amarth dal sapore malinconico e fatalista posto nella seconda metà di album, che forse però stempera un po’ troppo la tensione nei suoi quasi sei minuti. Con “A Dream That Cannot Be” ritroviamo invece il momento della collaborazione con un ospite di lusso: dopo Messiah Marcolin su “Hel”, ecco l’icona Doro Pesch prestarsi a un duetto con Johan Hegg per dare voce ai protagonisti della storia narrata nel concept, in maniera graffiante per quanto non indimenticabile.

Come appena accennato, il decimo album degli Amon Amarth è anche il loro primo concept. Johan Hegg racconta (quasi sempre) in prima persona le vicende di un giovane eroe senza nome, costretto alla fuga dopo aver assassinato lo sgherro che tentava di portargli via la donna amata. Rinnegato dalla famiglia e braccato come una preda durante una battuta di caccia, inizia una lunga e pericolosa peregrinazione solitaria guidato dalla sete di vendetta. Un misterioso viandante (Odino?) lo trae in salvo da morte certa per ben due volte, quando il freddo e gli stenti imposti dall’inverno scandinavo sembrano sopraffarlo; poi deve sconfiggere i ruggiti infuocati di un drago che compaiono all’orizzonte del placido mare. Sopravvissuto alla furia degli elementi e alla ferocia animale, successivamente il Nostro giunge alla baia di Hanö, dove lo attende una nave da guerra e una nuova battaglia. È proprio in questa occasione che incontra il gruppo di guerrieri ribattezzato Jomsviking, a cui si unisce per sopravvivere. Vinto lo scontro, può festeggiare, alzando i corni e brindando alla gloria dei sopravvissuti e dei compagni caduti. Questi brutali guerrieri non si risparmiano negli allenamenti, nemmeno quando due amici si trovano faccia a faccia, tuttavia devono fare fronte alla morte del proprio rispettato re. Il protagonista sembra indomabile e annienta addirittura tre nemici in rapida successione, finalmente è faccia a faccia con l’amata, che però dopo tanti anni non ricambia il suo amore, invocando la propria libertà. Non gli resta quindi che ritornare verso casa, verso le coste del nord, dove affronta con il tipico fatalismo scandinavo il proprio destino in un ultimo tragico duello.

Da un lato la presenza del concept offre uno spunto inedito per cui approcciarsi al nuovo album degli Amon Amarth e ha costretto il gruppo a investire maggiori energie nella stesura dei testi, con un grado di spessore talvolta in linea coi brani di chiara ispirazione mitologica del disco precedente, quindi discreto o comunque superiore alla media della carriera. Dall’altro esso soffre di parecchie debolezze: in primis l’approfondimento della trama è davvero carente, i protagonisti della storia per esempio non hanno un nome, i Jomsviking non sono descritti con alcun dettaglio e quindi sarebbero potuti essere sostituiti da qualunque altro ordine; secondo, lo stacco lirico e musicale fra ogni canzone è totale, una cesura netta, un cambio di scena privo di alcuna transizione. Per farla breve, è possibile ascoltare il disco e addirittura leggerne i testi senza rendersi conto e nemmeno immaginare di avere a che fare con un concept.

In conclusione, pur avendo comprato Jomsviking (in versione digipak, edizione sempre molto curata per questa band) e trovandolo un ascolto leggero, gradevole e scorrevole, non arriverò mai a consigliarvelo a scatola chiusa, poiché il mestiere e il compromesso hanno sostituito completamente l’ispirazione e la genuina spontaneità artistica, alterando l’essenza degli Svedesi. Detto questo, personalmente non riuscirò mai a odiare gli Amon Amarth, per quanto hanno dato in passato e per la naturale simpatia che mi suscitano.

Il Valhalla attende i guerrieri del nord, ma il Fato ha evidentemente imposto un deciso rallentamento alla loro marcia vittoriosa. Possa Odino non abbandonarli mai del tutto.