Anoice: la rinascita dopo la pioggia in Ghost In The Clocks

ANOICE – Ghost In The Clocks

Gruppo: Anoice
Titolo: Ghost In The Clocks
Anno: 2019
Provenienza: Giappone
Etichetta: Ricco Label
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TRACKLIST

  1. After The Rain
  2. Time
  3. Missing
  4. Room With Nobody
  5. Heroes
  6. Clockwork Moment
  7. It
  8. Under The Blood Red Sky
  9. Rebirth
  10. The Light
DURATA: 46:10

Sono passati quattro anni dall’uscita di Into The Shadows e No Room Here, i quali ci diedero l’opportunità di incontrare per la prima volta il misto di musica classica moderna e post-rock degli Anoice; il 2019 vede finalmente il ritorno sulla scena di questa realtà con Ghost In The Clocks, pubblicato come sempre tramite la loro etichetta Ricco.

Il brano di apertura, “After The Rain”, lascia intendere che questa opera sia il seguito di The Black Rain, album del 2012 del gruppo di Tokyo; le similarità stilistiche tra le rispettive copertine non lasciano dubbi sul legame tra i due lavori, a maggior ragione dato che in entrambe è raffigurata quella che probabilmente è la protagonista della storia narrata dalla band. Tematica portante di Ghost In The Clocks — suggerita anche dal titolo stesso — è il tempo, la cui presenza nella musica si manifesta attraverso ticchettii di orologi che, ad esempio, compongono l’intera “Clockwork Moment”.

Parlare di storia narrata, tuttavia, è leggermente fuorviante in quanto l’assenza di parole nella musica degli Anoice lascia un’ampia libertà all’ascoltatore di interpretare la variopinta espressività degli strumenti; i quattro musicisti — accompagnati da tre ospiti — si occupano, infatti, di trasmettere emozioni nella loro forma più pura, dando a chi le riceve il compito di associare a esse un contesto legandole alle poche — ma sufficienti — informazioni fornite dal comparto grafico e dai titoli dei brani. La capacità narrativa della musica contenuta in Ghost In The Clocks è perfettamente in grado di compensare i vuoti lasciati dalla mancanza di una qualsiasi voce ed è facile venire trasportati dall’immaginazione e plasmare il proprio racconto dell’opera; gli stessi Anoice hanno inserito in questo lavoro un riarrangiamento di “Missing” — originariamente composta per una serie TV — a riprova delle diverse situazioni che si possono legare a ogni composizione.

È chiaro, quindi, che l’aspetto emotivo sia il vero e proprio cuore pulsante delle dieci tracce e protagonista indiscussa sotto questo punto di vista è Yuki Murata, capace di dipingere ogni singola sfumatura dell’anima con il suo pianoforte: la solitudine di “Room With Nobody” e la quiete radiosa di “The Light” sono solo alcune delle sensazioni padroneggiate dalla musicista. E, se da un lato le sue prestazioni in solitaria sono indubbiamente affascinanti, è quando la pianista collabora con i suoi compagni di avventura che la musica assume tonalità più intense: il senso di inquietudine di “After The Rain” diventa improvvisamente drammatico con l’arrivo degli archi e, allo stesso modo, la prima metà ombrosa e introspettiva di “It” lascia poi il posto alle atmosfere più ariose e luminose portate dalla viola; “Missing” è tuttavia l’esempio più completo di interazione tra pianoforte e archi, con risultati a dir poco strappalacrime.

Seppur pesantemente imbevuto della musica classica, Ghost In The Clocks rimane comunque un’opera in cui l’aspetto post-rock è di primaria importanza e lo testimonia “Time”, il cui crescendo è pienamente in linea con gli standard del genere e riesce a creare una certa tensione grazie ai ritmi incalzanti scanditi dalla batteria; per sentire il lato più prettamente rock degli Anoice, tuttavia, è necessario arrivare quasi al termine della corsa con “Rebirth”, nella quale l’energia della chitarra elettrica si intreccia con la positività espressa dalla strumentazione classica per più di dieci minuti. Eppure, nonostante tutto, l’apice emotivo — almeno per il sottoscritto — è rappresentato da “Heroes”: un brano che raggiunge livelli di intensità vertiginosi, tanto da essere in grado di generare contemporaneamente brividi e commozione a ogni ascolto; una piccola perla posizionata anche al posto giusto, proprio dopo l’abisso di solitudine di “Room With Nobody”.

In tutto ciò, non è stato ancora nemmeno nominato uno dei personaggi chiave degli Anoice, ovvero Takahiro Kido. La sua presenza all’interno di Ghost In The Clocks è quasi impercettibile, eppure allo stesso tempo fondamentale: a eccezione di “Rebirth”, il musicista si muove nell’ombra, inserendo, ad esempio, l’organo in “It” e “Heroes” e usando il suono profondo del basso per rafforzare la fase più energica di “Time”; questi elementi possono sfuggire a un ascolto distratto, ma una volta notati ci si rende conto di come siano dettagli di una certa rilevanza che contribuiscono ampiamente a rendere efficace la narrazione. Va ricordato, infine, che questo artista è uno dei due principali compositori del gruppo insieme a Yuki Murata, pertanto è importante rendergli il giusto merito, nonostante il suo contributo non sia così palese a primo impatto: la capacità di produrre tanto brani elaborati come “It” quanto altri minimalisti come “Under The Blood Red Sky”, dando un significato a ogni elemento, è assolutamente lodevole.

Senza allungare troppo il brodo, Ghost In The Clocks è l’ennesima conferma della raffinatezza e della qualità proposta dagli Anoice; si tratta di un’esperienza coinvolgente ed emotivamente intensa che difficilmente potrà lasciare indifferenti. Non associo spesso la parola capolavoro a un album, ma gemme come “Heroes” e “It” giustificano ampiamente l’uso di questo termine.