AT THE ALTAR OF THE HORNED GOD – Through Doors Of Moonlight
Pan, Cernunnos, il Fauno romano: tre delle tante divinità che chi si interessa di mitologia e occultismo non faticherà a ricollegare all’entità sincretica del Dio Cornuto, associato nell’antichità alla sfera naturalistica e a quella sessuale. Una divinità che — secondo gli occultisti di un paio di secoli fa e secondo comprovate teorie antropologiche — è stata soppressa dal Cristianesimo, che avrebbe mutuato l’ormai iconica figura del capro associandola a Satana e fatto piazza pulita delle sedicenti streghe che lo veneravano, tanto che ancora oggi riveste un ruolo fondamentale nei circoli Wicca e neopagani in genere. Doverosa premessa per dire che il Dio Cornuto è il fulcro degli At The Altar Of The Horned God, one man band dello spagnolo Heolstor — mente dietro alla casa editrice occulta Fall Of Man e altri progetti come i Mystagos — che rappresenta il proverbiale coniglio estratto dal cilindro di I, Voidhanger Records con Through Doors Of Moonlight.
Come dichiarato da Heolstor, At The Altar Of The Horned God è un progetto black metal non tanto nella forma, quanto nello spirito e nel linguaggio con il quale viene veicolato: una sorta di rituale che mira a riscoprire i pochi angoli di Natura non ancora profanati dall’uomo moderno, cercando di ricreare le sensazioni dei boschi di cinquemila anni fa e rendere omaggio ad antiche divinità quasi dimenticate: il black metal in senso stretto fa capolino soltanto una manciata di volte, nella sua forma più grezza e distante, in episodi come “Prayer” e il finale “A Circle Of Swaying Leaves”, nei quali si possono sentire echi dei Wolves In The Throne Room.
A fare decisamente la parte del leone, però, è il lato più squisitamente folk della creatura madrilena. In questo frangente il rischio di incappare nel name-dropping è molto alto, ma il punto è che Through Doors Of Moonlight — nonostante mostri senza remore le sue influenze — è un’opera matura e coerente e non un collage di idee prese qua e là dalla ricca produzione europea, per cui fare qualche nome non significa certo sminuire il lavoro di Heolstor. Il folk in questione è quello che riporta a una condizione atavica e primitiva, in comunione con la natura; ricco quindi di elementi tribali e atmosfere silvane che portano alla mente Heilung e Wardruna in primis (“Before The Flames Of Undefiled Knowledge”, introdotta da un’invocazione di Aleister Crowley), ma che in alcuni casi si appoggia esclusivamente a splendide armonizzazioni vocali che sprizzano Kveldssanger da ogni nota (l’inizio di “Malediction”). Uno dei punti più alti del disco è “Perdition In The Oneness”, che racchiude tutto ciò e vi aggiunge l’evocativa voce di Maya, ora in duetto, ora in solitaria.
Sbucati praticamente dal nulla, gli At The Altar Of The Horned God consegnano al mondo un disco di notevole fattura — accompagnato da un bellissimo dipinto del poliedrico artista australiano Orryelle Defenestrate-Bascule — che parla da molto vicino a coloro i quali hanno una certa sensibilità a queste tematiche e sonorità e che, nelle parole dello stesso Heolstor, ha l’obiettivo di «prendere quella piccola scimmia spaventata e senza peli che c’è in ognuno di noi e mostrarle la gloria del Dio Cornuto.».