BLACK SHAPE OF NEXUS – Carrier
Un lago la cui acqua è nera e viscosa, del quale non si vede il fondo e si ha paura nell'immergersi, una sensazione che rimane attiva e soffocante: questo è ciò che sono i Black Shape Of Nexus. Quattro anni fa avevamo recensito "Negative Black", il terzo capitolo discografico dei Tedeschi, ma in questo lasso di tempo la band è stata tutt'altro che con le mani in mano, producendo uno split con i Lazarus Blackstar nel 2014, un paio di singoli ("Sachsenheim" e "VII" nel 2015) e la raccolta "Nothing New – 10 Years Of Fresh Air Enjoyment" (sempre nel 2015). Questo 2016 invece vede il sestetto alle prese con la quarta uscita di lunga durata intitolata "Carrier".
La matrice sonora portante di questa nuova fatica non si distacca da quanto sentito in precedenza, una miscela di drone-doom alterata da sludge e stoner totalmente riconoscibile, eppure allo stesso tempo ci consegna una formazione compositivamente più eclettica ed estrema. In brani come l'iniziale "I Can't Play It" e "Facepunch Transport Layer" viene esaltata un'esplorazione fatta di un magmatico e ancor più grave utilizzo dei suoni bassi, con un incremento del fattore distorsione, mentre tracce di psicotropia esagitata e macerante sono riscontrabili nell'estesa fase introduttiva di "Lift Yourself". Tutto ciò ben si coniuga alle movenze allentate dal passo pesante e comprimente quanto alle improvvise e cataclismatiche accelerazioni di una scaletta dotata di classe e opprimente disturbo, condotta a conclusione dall'inesorabile omaggio agli storici Hellhammer di "Triumph Of Death".
Non si esce vivi dalla tensione con cui "Carrier" tende a soverchiare l'ascoltatore. La prestazione dei Black Shape Of Nexus ha in sé potenza e sensazioni malsane in dosi eguali e si impone come farebbe un cingolato nell'incrociare le povere ossa di un comune mortale, tritandole e affossandole nel terreno. Musicalmente credo sia impossibile non apprezzare l'approccio mefitico con il quale sono stati realizzati i pezzi e reputo sia ancora più infattibile non farsi ingurgitare dal cantato di Malte Seidel, in grado di attirare a sé atmosfere da incubo ed esprimere con ossessività un collassante disagio.
La band non sbaglia un colpo e si conferma fra le migliori nell'esibire bastardi e gratificanti assalti al nostro udito, pertanto ne caldeggio l'acquisto. Intanto non perdo tempo, premo nuovamente il tasto «play» e mi appresto a subire da capo lo schiacciante trattamento.