CAVE DWELLER – Invocations
La creazione musicale è un processo personale che narra della scoperta e della riorganizzazione di quell’individuo (o gruppo) specifico che si approccia in modo unico alla materia. Cave Dweller, la creatura di Adam R. Bryant, aveva già messo in chiaro quanto ci fosse di personale nella sua proposta sonora con il precedente lavoro Walter Goodman (Or The Empty Cabin In The Woods) del 2020, e in effetti molte delle considerazioni che avevo fatto allora sul percorso dell’autore appaiono pertinenti anche per il nuovo album Invocations, pubblicato lo scorso anno da Aesthetic Death.
Invocations, va detto, da un punto di vista superficiale sembra continuare sulla strada di quanto già mostrato sin dal digipak, pieno di fotografie prese dalle scampagnate del musicista che sono un tocco riconoscibile al quale non si vorrebbe mai rinunciare, come lo sono le brevi — ma intense — note a piè pagina che accompagnano i testi delle canzoni. Tuttavia una differenza riscontrabile si può trovare nelle tematiche: se Walter Goodman era incentrato sulla solitudine, Invocations possiede un respiro più ampio e tra i vari temi trattati quello dei movimenti della natura sembra emergere con maggiore frequenza. Al di là di “Bird Song” (che comunque era stata concepita come parte dell’album precedente) che riprende il discorso della solitudine, il filo conduttore è rappresentato dal concetto dello scorrere, del lasciare andare. Lasciare andare nelle relazioni, accettare che il mondo cambi.
Tutto ciò si riflette anche nella musica, che si muove tra i vari elementi come se fosse un flusso senza fine. Invocations mostra davvero tante sfaccettature, risultato di una creatività e di una visione artistica come espressione di sé che non hanno particolare interesse per i confini. Lo si nota per esempio nell’intensa ballata acustica “Bird Song”, nello spoken word di “The Lightkeeper”, nel violino rovinato di “An Invocation” oppure nel contrasto tra le ritmiche tribali, le distorsioni e gli scream di “Mirror”. Abbiamo quindi una visione dell’insieme che non ha paura di mettere sullo stesso piano inserti ambient, rumori noise che riecheggiano vicini e lontani, e un approccio sperimentale che — sebbene appaia meno marcato che in passato — ricopre comunque un ruolo centrale.
A mio parere, il modo migliore di approcciarsi a Invocations è abbandonarvisi, tenendo la mente aperta alle possibili scoperte che le sonorità di Cave Dweller hanno in serbo per noi. Forse un album del genere non soddisferà tutti i palati, ma è difficile immaginare che possa esaurire la sua profondità, ciò che ha da dare, nel giro di pochi ascolti. Forse si tratta di un’opera meno coesa della precedente, tuttavia è la conferma che Adam Bryant come musicista avrà sempre qualcosa da dire.