CODE – Mut
Che i Code siano una creatura portata a un continuo quanto spontaneo mutamento, credo sia sempre stato alquanto evidente. Il gruppo guidato dal chitarrista Aort ne ha dato costante dimostrazione, regalandoci un album di avantgarde black metal ben fatto qual è Nouveau Gloaming, un’evoluzione levigata e affinata dello stesso sia nelle strutture che nell’ottima interpretazione vocale (al tempo fornita da Kvohst) con Resplendent Grotesque, mantenendosi poi all’interno di tali territori con il meno convincente terzo parto Augur Nox, nel quale non sono più presenti né il signor cantante citato poco prima né tantomeno l’altro pezzo da novanta Vicotnik, rispettivamente rimpiazzati da Wacian dietro al microfono e Syhr al basso.
Il gruppo ha deciso di virare a livello stilistico in maniera netta, tant’è che quest’ultimo Mut ci racconta una storia diversa, ancora una volta avanguardista e in parte post-rock nell’animo, ma molto meno orientata a far dominare le sonorità metalliche, favorendone di più eleganti e intime. I deliri ipnotico-acidi e l’espressività pittoresca che lo univano a gente come gli Arcturus sono evaporati, lasciando solo tracce che di tanto in tanto si fanno intravedere, mentre l’approccio convulsivo e malato che spesso animava le tracce è scomparso. Tali caratteristiche sono state sostituite da un’attenta cura dello sviluppo atmosferico, elargendo consistenti dosi di melancolia, angoscia e rassegnazione, rendendo così le canzoni particolarmente fruibili, pur senza essere elementari, ma ideali ad attrarre l’udito dell’ascoltatore. Il merito è dell’ottimo impianto melodico fornito dalle chitarre di Aort e Andras e della prestazione coinvolta e appassionata di un Wacian decisamente sugli scudi.
È un fiume in piena quello che scorre dentro episodi come “Dialogue”, “Affliction”, “Numb, An Author” e “The Bloom In The Blast”, un fiume che trasporta un quantitativo enorme di emozioni e note tali da poter mettere d’accordo abituali consumatori di Tool, Dredg, Opeth, Anathema e Jeff Buckley, a riprova che è stato compiuto il passo necessario per iniziare a lasciarsi alle spalle i vecchi Code, dando spazio a ciò che sono oggi. A questo punto sarebbe interessante capire cosa potranno divenire un domani…
Mut non è esente da difetti, in un paio di circostanze l’orecchio si dovrà confrontare con una struttura compositiva che tende un po’ troppo a ripetersi e a servirsi di idee facilmente riconducibili ad altri nomi noti. Ciò comunque non lede più di tanto il valore di un lavoro che fa del suo essere volutamente scarno e finemente ruvido la propria forza. Di certo se in passato avete amato quanto prodotto dai britannici potreste rimanerne spiazzati, però non perdetevi d’animo e prima di scartarlo frettolosamente prendetevi il tempo che serve, provate a convivere con questa nuova versione-visione e chissà che sulla lunga distanza non riesca a entrare nelle vostre grazie. Del resto da qualsiasi lato la si voglia vedere, i Code — seppur in profondità — sono rimasti sempre i Code.