Conjureth - The Parasitic Chambers | Aristocrazia Webzine

CONJURETH – The Parasitic Chambers

Gruppo: Conjureth
Titolo: The Parasitic Chambers
Anno: 2023
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: Memento Mori / Rotted Life Records
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TRACKLIST

  1. Smothering Psalms
  2. Dimensional Ascendancy
  3. Devastating Cataclysmic Unearthing
  4. Cremated Dominion
  5. Deathless Sway Of Torsos Calm
  6. A Blood Romance
  7. The Ancient Presence
  8. In Mortal Thresholds
  9. From Ceremonies Past
  10. The Unworshipped II
DURATA: 38:04

A poco più di un anno di distanza dal rilascio dell’album di debutto Majestic Dissolve, i californiani Conjureth tornano a far parlare — bene, molto bene — di sé con il nuovo full-length intitolato The Parasitic Chambers. Nonostante l’apparentemente esigua produzione discografica del progetto, solo due demo usciti nel 2020 oltre ai dischi già citati, i Nostri sono tutto meno che dei dilettanti alle prime armi. Lo dimostrano in modo fin troppo eloquente i rispettivi curriculum: uno su tutti quello del mastermind Wayne Sarantopoulos, membro o ex di formazioni come Messial, Encoffination, Ghoulgotha e Father Befouled giusto per citare alcuni nomi.

Che i Conjureth si ispirassero alla vecchia scuola del death statunitense era chiaro sin dal loro primo disco e The Parasitic Chambers non fa altro che confermarlo. Se tuttavia Majestic Dissolve appariva fortemente influenzato dalle sonorità dei primi Deicide, nella loro ultima fatica la band apre ad ulteriori spunti e a nuovi tocchi di personalità. Sin dalle prime battute si ha l’impressione che i californiani abbiano virato verso un suono più violento, massiccio e cattivo. I dieci brani, tutti compresi tra i tre e i quattro minuti di durata (meno il conclusivo “The Unworshipped II”), sono un concentrato di bateria implacabile e riff granitici in cui riecheggiano, nemmeno troppo velatamente, i Morbid Angel. Non mancano tocchi di personalità, con piacevoli divagazioni tecniche dal sapore prog disseminate qua e là e una vena melodica che emerge in episodi come “A Blood Romance” e negli assoli di chitarra. Unica deviazione dalla strada maestra della vecchia scuola è la traccia conclusiva, quasi sei minuti di death-doom che riflettono la passione di Sarantoupolos verso il genere.

L’unico difetto che riesco a trovare nell’album è una certa ripetitività nella struttura dei brani, elemento che però emerge dopo ripetuti ascolti, una volta esaurito l’effetto calcio nelle gengive del primo impatto. Al netto di ciò, The Parasitic Chambers rimane un buon disco, in cui il tributo ai padri del genere non si limita al mero citazionismo e che mostra una crescita non indifferente in un lasso di tempo piuttosto modesto. È anche per questo che mi aspetto grandi cose dalla prossima fatica dei Conjureth. Avanti così.