CORDE OBLIQUE – Per Le Strade Ripetute
Ormai non è una novità, per noi di Aristocrazia, occuparsi di proposte non metal. È da un po’ che soprattutto neofolk e derivati sono entrati a far parte in pianta stabile delle nostre competenze, ed è sempre interessante introdurre progetti di livello a un pubblico diverso (ma per certi versi simile), come in questo caso.
Sono particolarmente lieto di occuparmi per la prima volta in maniera ufficiale di una delle band che più mi stanno a cuore: le Corde Oblique, progetto partorito dalla fervida mente di Riccardo Prencipe ormai quasi dieci anni fa. Il background del chitarrista è un crocevia tra conservatorio, storia dell’arte e le più disparate influenze musicali (che infatti fanno capolino, anche sotto forma di cover, nei vari album).
Dai primi passi più vicini al neofolk (con uno spiccato “sapore” mediterraneo già al tempo), il gruppo ha proseguito fino a incorporare gradualmente nuovi elementi e strumenti, anche attraverso collaborazioni internazionali (tra gli altri, Duncan Patterson). Storicamente più famosa in Europa che in Italia, la band ha finalmente iniziato a raccogliere risultati concreti anche in patria negli ultimi anni, con concerti in giro per la Penisola e in generale una buona risposta da parte del pubblico.
Per Le Strade Ripetute è il quinto album di una formazione ormai matura, che conosce molto bene i suoi punti di forza e fa da sempre della varietà uno degli aspetti principali della propria musica. La traccia d’apertura “Averno” dà il via alle danze mettendo perfettamente in mostra lo stile del complesso, accompagnata per il lancio dell’album anche da un video girato sull’omonimo lago. La voce di Floriana Cangiano (cantante principale sul disco del 2011 A Hail Of Bitter Almonds) ci accompagna all’ingresso di un mondo fatto di luoghi pieni di storia.
Una delle particolarità delle Corde Oblique è sempre stata l’intenzione di recuperare la magia di alcuni luoghi storici della Campania, terra martoriata da più di un orrore, e trovarvi ancora qualcosa “che inferno non è”. Ricordiamo in passato brani dedicati a Napoli, Caserta, Torre Annunziata e così via. Ciò che li rende interessanti è, però, il rifiuto di chiudersi in un “neofolkiano” ritorno alle radici che escludesse qualsiasi elemento proveniente dall’esterno, andando a ripescare quella Napoli come porto centrale del Mediterraneo, dove le più varie culture musicali si fondevano e si fondono tutt’oggi.
Abbiamo quindi ancora qualche testo in inglese e uno in greco (collaborazione con i Daemonia Nymphe), una cover del celebre tema cinematografico “Requiem For A Dream” di Clint Mansell (già parte del repertorio dal vivo da qualche tempo). Un brano particolarmente curioso è “In The Temple Of Echo”, uno strumentale di chitarra che prende il nome dal Tempio di Mercurio nel parco archeologico di Baia (vicino Napoli), luogo in cui è stata registrata senza effetti addizionali con risultati a mio parere davvero notevoli (stesso discorso per la traccia fantasma).
La formazione è ormai stabile e più che testata in sede live, dove il gruppo dà probabilmente il meglio di sé. Le percussioni di Alessio Sica, generalmente delicate in studio, sanno letteralmente trasformarsi nei momenti più tirati delle esibizioni dal vivo, così come accade per il basso di Umberto Lepore. Al violino ancora Edo Notarloberti — storico archetto del trio ethereal folk Ashram — che si produce anche nel solo “Uroboro”. Come in passato, sono varie le voci, soprattutto femminili, che si alternano nell’arco dei cinquanta minuti circa che compongono l’album.
Come critica, posso dire che a livello testuale ho trovato migliori altri momenti nella carriera di Prencipe, ma anche qui c’è più di una citazione meritevole. I versi e le musiche evocano immagini cariche di significato, soprattutto per qualcuno originario dei luoghi descritti o per chi li ha visitati con la mente oltre che con il corpo. Una Campania da riscoprire, nascosta nel suo “inferno”, il cantastorie dell’omonimo brano del 2007 sembra essere tutt’altro che stanco e vuole continuare a raccontarci di questa terra, del suo mare e delle sue storie.