CORROSION OF CONFORMITY – Corrosion Of Conformity
Alzi la mano chi tra di voi non ha mai ascoltato (o sentito almeno nominare), neppure per sbaglio, i Corrosion Of Conformity: bene, i possessori di quei due o tre arti che ho visto sventolare in aria si alzino, vadano a fustigarsi a dovere per almeno una mezz’ora e poi tornino… Fatto? Perfetto, posso cominciare.
I Corrosion Of Conformity sono un gruppo attivo dalla bellezza di trent’anni ormai, con sulle spalle dischi di superba caratura come Animosity, Deliverance e Wiseblood, molto influenti tanto per la scena Southern/Stoner (nella seconda parte di carriera) che per quella Crossover/Thrash (agli inizi). A distanza di ben sette anni dall’ultimo lavoro, In The Arms Of God, i nostri si affacciano al principio di quest’anno con un nuovo album autotitolato. Che significa far uscire un disco omonimo dopo tutti questi anni? Mancanza di creatività e ispirazione? Intenzione di mostrare la vera anima del gruppo?
Le danze vengono aperte da “Psychic Vampire” (il cui ritornello ha delle forti reminiscenze Anthrax) e “River Of Stone”, due pezzi che, insieme alla strepitosa “The Doom”, riuniscono in maniera perfetta le fasi di pura estrazione Black Sabbath con le influenze imprescindibili degli onnipresenti Kyuss e Fu Manchu (in alcuni punti mi sono anche stupito immaginando involontariamente i Candlemass più Heavy sotto pesantissime dosi di peyote); il punto di forza di queste strutture è proprio la capacità di svilupparsi giocando su tale dualità, sfruttando una sapiente e sporca alternanza tra stop sulfurei e sfiancanti, dal sapore spesso fangoso, e ripartenze sfacciate, grezze e polverose. In tracce come “Leeches”, “The Moneychangers” e “Rat City” emerge invece prepotentemente allo scoperto quella che è la vera anima, la spinta primorde che diede vita ai Corrosion Of Conformity: ci troviamo infatti di fronte a veloci e arrembanti sferzate di nudo e crudo Hardcore Punk, anche se lievemente adulterato da influssi Stoner e Psych (vedasi la seconda parte di “The Moneychangers”). In tracklist possiamo poi trovare episodi che mettono in campo influenze ancora differenti come “El Lamento De Las Cabras”, una strumentale desertica e “da trip” che ricorda non poco i Lynyrd Skynyrd nelle loro manifestazioni più bluesy, “Come Not Here” in cui si intersecano influssi acidi, solchi ricolmi di groove e rimandi ai Down (nel caso ve lo stiate chiedendo: no, Pepper Keenan non ha suonato in questo disco) o ancora “What We Become” che esalterà non poco coloro che ama(va)no i Pantera.
Credo che mai come in questo disco i Corrosion Of Conformity ci abbiano mostrato la loro vera natura. Quest’ultima fatica è, secondo chi scrive, semplicemente da vedere come il disco più completo finora mai prodotto da questi ragazzi: un album semplice, tagliente e diretto, passionale e strabordante di personalità nell’amalgamare la grande quantità di influenze chiamate in causa. Non fatico a credere che molti criticheranno quest’album che, probabilmente, è uno dei più palesi esempi di come un’uscita discografica possa fratturare nettamente il pubblico tra estimatori e detrattori. Poco importa, dal canto mio Corrosion Of Conformity è un ritorno in grandissimo stile, un parto strepitoso da parte di una band che di flop non ne ha mai prodotti. La palla ora passa a voi, nel mentre io vado a stapparmi un’altra birra e premo ancora una volta il tasto “play”.