CORTEZ – No More Conqueror
I Cortez sono una realtà molto interessante, come un po’ tutto quello che passa dalle parti di WOOAAARGH. Svizzeri francesi, con quasi vent’anni di attività alle spalle, dal 2001 a oggi hanno però pubblicato solamente tre album a intervalli di tempo piuttosto lunghi.
No More Conqueror, il terzo e al momento ultimo di questi, porta con sé una serie di significati molto interessanti. Come è ovvio per una band che suona un mix di hardcore, post-hardcore e post-metal e tutte quelle cose là in questi tempi bui, la tematica sociale e la messa in discussione di se stessi e dei paradigmi contemporanei sono elementi fondamentali della poetica dei Cortez, a partire dal titolo stesso. No More Conqueror significa da un lato che il trio/quartetto (considerando o meno il produttore e membro aggiunto Sam, oscuramente definito nel libretto e nei contatti ufficiali The Eye) non ha più l’impeto degli esordi: come spiegato in un’esaustiva intervista, a quarant’anni gli svizzeri non sentono più quella foga, quell’esigenza di conquistare il mondo, eppure questo non significa che si siano dati pace. Allo stesso tempo, il titolo rimanda a un problema ineluttabile del nostro tempo, quello dell’inquinamento e dello sfruttamento sregolato del pianeta, perché «spostarsi in aereo per tutti i tour e concerti e sapere che una grossa parte del problema ambientale è causata dall’inquinamento dell’aviazione e dal consumismo non può non metterci davanti ad alcune domande». Mi auguro personalmente che la risposta a queste domande porti comunque i francofoni a continuare a suonare dal vivo, poiché i loro concerti vengono raccontati come un’esperienza intensissima per tutti gli spettatori.
Musicalmente, i Cortez suonano qui più asciutti ed essenziali che mai, con Converge e Dillinger Escape Plan a guardare sempre da lontano con aria soddisfatta. No More Conqueror è pervaso da un senso di urgenza, da un minimalismo strutturale (che, attenzione, non significa mai semplicità, visto che le strutture math sono l’ossatura fondamentale della band) probabilmente figlio delle modalità di composizione dell’album. Scritto in appena tre settimane, di cui due passate a Singapore dove ora vive Sam, il disco è privo di qualsiasi orpello e qualsiasi aggiunta ex-post. L’esperienza di questi dieci brani non regala altro che mazzate, mazzate e mazzate. Non si tratta di mazzate che ti cambiano la vita, certo, ma magari qualche riflessione la stimolano, quello sì, e al giorno d’oggi solo questo è un risultato enorme.
I testi, cantati per la prima volta da Antoine Läng, nuovo membro del gruppo, sono estremamente diretti ed espressi con un tono asciuttissimo: urlato, rabbioso, ma mai disperato e sempre in controllo. Con parole graffianti, Läng sciorina insoddisfazione per l’Occidente e pillole di cultura senza soluzione di continuità, e in No More Conqueror trovano spazio Claude Bernard e antichi re indiani, così come le invettive sociali.
I Cortez, con la loro ironia concettuale che li porta a chiamarsi come un conquistador del Cinquecento e poi a dire che non ci devono più essere conquistatori, sono una band matura, che sa perfettamente ciò che vuole ottenere e che messaggio vuole mandare, e il loro sound dichiaratamente derivativo non pregiudica un’evidente urgenza musicale e una consapevolezza ancora oggi troppo rara.