CRADLE OF FILTH – Hammer Of The Witches
E ci risiamo. Ogni volta che i Cradle Of Filth annunciano un nuovo album è sempre la stessa storia. Parto pieno di speranze, poi arrivano le prime canzoni che mi confondono le idee, inizio a pensare che sia meglio non recensirlo, arrivo addirittura a pensare di evitarlo del tutto per non mangiarmi troppo il fegato. E puntualmente mi ritrovo ad ascoltare il disco, a vedere i miei giudizi iniziali disintegrarsi e a non capire perché il signor Filth e la sua squadra in continua evoluzione-involuzione riescano sempre a intrappolarmi in questo inferno.
Ci posso girare intorno quanto voglio, ma è inutile negarlo: sono stati il punto di partenza per il mio viaggio nel Metal estremo e ciò è un motivo valido per continuare a seguire il loro percorso, nonostante una continua alternanza tra lavori positivi come "Darkly, Darkly, Venus Aversa" e altri molto meno convincenti quali "The Manticore And Other Horrors". Con questa nuova uscita la formazione del gruppo cambia per l'ennesima volta e lo fa in modo abbastanza eclatante: innanzitutto Paul Allender abbandona per la seconda volta la band e viene sostituito da ben due colleghi chitarristi, Rich Shaw e Marek "Ashok" Šmerda; un altro nuovo arrivo è la tastierista Lindsay Schoolcraft, che fa anche da supporto in ambito vocale; consolidata invece la presenza al basso di Daniel Firth, che nell'album precedente era presente come ospite, mentre il batterista Marthus continua ad accompagnare il leader come già faceva.
Con questa premessa mi è sembrato logico pensare — o meglio, sperare — in un cambiamento rispetto a "Manticore" ed effettivamente le differenze non sono poche. Dovendo fare un paragone, "Hammer Of The Witches" suona più vicino a "Darkly, Darkly, Venus Aversa", ma è decisamente più aggressivo senza comunque sdegnare momenti più melodici. La coppia di chitarristi non fa assolutamente rimpiangere Allender — che, a dirla tutta, nel disco precedente non aveva brillato particolarmente — creando riff fedeli allo stile della band che risultano in effetti uno degli elementi migliori dell'album. Fin da "Yours Immortally" ci si può rendere conto di come le sei corde appaiano rinvigorite, con un'energia e un dinamismo che portano un minimo di freschezza nel sound a cui ci eravamo abituati; è soprattutto in brani come "Blackest Magick In Practice" e "Hammer Of The Witches" (specialmente nella seconda parte) che l'alternanza tra passaggi orecchiabili e altri feroci risulta più efficace. Lo stesso discorso vale per gli assoli, in particolare quelli da headbanging di "Enshrined In Crematoria" e "Deflowering The Maidenhead, Displeasuring The Goddess"; ed è proprio quest'ultimo brano che ci porta all'altro elemento positivo di questo disco, vale a dire Lindsay Schoolcraft. La musicista si avvale della propria esperienza nell'ambito delle composizioni sinfoniche — esiste anche una sua cover di "Nymphetamine", tra le altre cose — per riportare in auge una delle caratteristiche che da sempre rendono gli album dei Cradle Of Filth inconfondibili; i momenti più atmosferici del brano citato in precedenza, gli intrecci con le chitarre di "Blackest Magick In Practice" e di "Right Wing Of The Garden Triptych", le parti leggermente epiche di "Onward Christian Soldiers" sono solo alcuni esempi di quanto la sua entrata nel gruppo sia assolutamente positiva.
Proprio per l'arrivo di questo nuovo componente, Marthus questa volta si è dedicato esclusivamente alla batteria ed è sicuramente un bene visto il risultato dei suoi sforzi in "Manticore". Il suo stile all'interno dei Cradle Of Filth ormai lo conosciamo e la sua prestazione in questo album risulta più che buona, grazie alla sua capacità di amplificare la potenza espressa dai passaggi più spinti e di adattarsi senza problemi ai frequenti cambi di ritmo; il suo lavoro è simile a quello svolto su "Darkly, Darkly, Venus Aversa" e "Godspeed On The Devil's Thunder", pertanto dovreste sapere cosa aspettarvi. Da notare anche il supporto del basso di Daniel Firth, che nel disco precedente era sostanzialmente inesistente, mentre in questo caso ha avuto la possibilità di guadagnarsi una maggiore influenza nel risultato finale.
Nonostante sia il (piccolo) pilastro della band lo lascio sempre per ultimo, ma di sicuro non mi dimentico della voce di Dani Filth. Eviterò la solita nostalgia dei bei tempi, anche perché ormai è chiaro che abbia preso una direzione diversa; il suo scream è appunto sulla scia degli ultimi album, solitamente non troppo alto e con diverse urla acute ad accompagnare e a rendere più vario il tutto. Passando infine ai testi, questa volta gli Inglesi si sono basati sul "Malleus Maleficarum" (che in latino significa proprio "Il Martello Delle Streghe"), il famoso documento a proposito della persecuzione e della tortura delle streghe; pur non essendo il miglior esempio delle capacità del signor Filth, le parole si adattano senza difficoltà alla musica. Ciò che personalmente mi colpisce, in realtà, è la creazione di un sound che in molte occasioni definirei femminile, proprio come accadeva in "Darkly, Darkly, Venus Aversa" che era basato sulla figura di Lilith; diversi passaggi sembrano avere la delicatezza, il tipo di energia e l'emotività tipici delle donne che sono alla base dei concept di questi due lavori.
Tutto sommato, lo stravolgimento della formazione sembra aver portato elementi positivi all'interno della band, che pare essere ancora capace di creare musica degna del nome con cui è targata. Come a ogni nuova uscita l'opinione del pubblico si dividerà tra chi li ritiene morti e sepolti da anni, chi li vede rinati e chi li ha apprezzati nel loro intero percorso. Pensare che "Hammer Of The Witches" possa cambiare questa situazione è utopistico, pertanto a seconda della categoria in cui vi identificate potreste trovarlo un ottimo disco o l'ennesima delusione. Cosa ne penso io? Per me, insieme a "Darkly, Darkly, Venus Aversa" che ho citato un'infinità di volte in questa recensione, è la loro miglior uscita del periodo post-"Midian".