CRAWL – Damned
Riff pochi, atmosfera tanta. Quattro parole per descrivere con estrema brevità la creatura multiforme e agonizzante chiamata Crawl, one man band americana in cui la mente creativa di Michael A. Engle genera mostri che si esprimono in forma di spaventosi echi, stralci di synth e sezioni ritmiche dolorosamente lente.
Damned prende tutte le componenti che normalmente troviamo nei dischi, le frantuma e le rimescola a modo suo. Quello che otteniamo è una sorta di dungeon doom-sludge con striature black metal che suscita diverse emozioni, molte delle quali primordiali, come il terrore. Non risulta immediato e può non piacere a primo impatto, a meno di immedesimarsi nel tipo di storia che Crawl cerca di raccontarci. Le quattro tracce di Damned danno vita a un mattone distorto dal gusto a tratti perfino gotico, grazie alle tastiere minimali e ossessive che accompagnano i sussurri tormentati e agonizzanti di Engle, che restano sempre acusticamente un passo indietro rispetto alla parte strumentale: non voglio chiamarla musica, perché non credo sia un termine che si presta particolarmente alla descrizione dei suoni viscerali proposti. Di conseguenza, l’attenzione per un tipo di estetica gotico-medievale appare evidente anche dalla scelta grafica fatta per la copertina, in cui un cavaliere bardato della sua armatura si rannicchia su se stesso, senza abbandonare la spada. Probabilmente è un invito a non abbassare la guardia, mai.
Con Damned, Crawl tocca il traguardo del nono lavoro a partire dal 2012. Trattandosi di una one man band è naturale che basso, batteria, tastiere e voce siano opera del singolo individuo dietro il progetto, va però detto che il Nostro si occupa di tutta la strumentazione simultaneamente, anche in sede live, senza quindi aver bisogno di turnisti. L’essere umano nasce, muore e in svariati casi vive anche in solitudine: quale modo migliore per ricordarcelo, se non dare voce ai propri strazi e tormenti senza l’aiuto di anima viva. Trovo diverse affinità con Hail Conjurer, il cui Earth Penetration si poneva in modo simile e otteneva all’incirca il medesimo scopo: quello di suscitare terrore e disagio. Allo stessa maniera, anche Damned è il grido di un’anima tormentata e in trappola, che si sgola dal profondo della sua prigione, reale o mentale che sia.
“Renaissance Of Worthlessness” è un preludio morbido e quasi più abbordabile rispetto ai brani successivi. “…This Lesser Form” fa un uso molto sapiente di tastiere che simulano voci umane, mentre a più riprese nel corso di “10,000 Polehammers” la voce di Crawl raggiunge una profondità diversa, divenendo il gorgogliare di un’entità incatenata in un posto imprecisato da qualche parte al centro del Pianeta, ora gridando in preda a un doloroso delirio, ora parlando con toni gutturali da far rizzare i capelli. Non so se Damned nasca con l’intenzione di far tremare chi lo ascolta, però ci riesce comunque.
Se sei in cerca di un’esperienza musicale tradizionale, stai certo che non la troverai in Damned, un altro capitolo nella storia sofferente di un’anima sanguinante, quella di Crawl.