CRUENTUS – Night Embrace Me
I Cruentus sono una delle numerosissime band nate nella seconda metà degli anni Novanta in Svezia (per la precisione a Norrköping) e relegate all’underground più profondo. Dopo la pubblicazione di una demo in cassetta, il duo è rimasto infatti inattivo per ben vent’anni, per poi ritornare in studio e dar vita a un vero e proprio album: Night Embrace Me.
Sin dall’artwork e dal logo capiamo quanto i due musicisti (che a quanto pare non hanno mai avuto progetti paralleli) siano saldamente ancorati, per non dire fossilizzati, agli anni Novanta, e lo stesso può dirsi della proposta musicale, costituita da un death-black metal che pone le sue radici nella scuola svedese (Dismember su tutti), arricchito da importanti influenze thrash metal, soprattutto nei break e nei cambi di tempo.
I quasi quarantaquattro minuti che compongono l’album sono ripartiti in dieci tracce dalla durata media di cinque minuti in cui l’assalto sonoro del duo resta praticamente costante, nonostante la presenza di numerosi cambi di ritmo. Per quanto i pezzi si somiglino molto tra loro, la qualità compositiva ed esecutiva è innegabile, specie nei momenti più calmi come l’arpeggio nella seconda metà di “At The Remains”, in cui l’influenza dei conterranei Dissection si fa sentire più che mai.
La produzione di Night Embrace Me privilegia le frequenze basse, mettendo particolarmente in risalto la doppia cassa di Petter Bocian, il quale oltre a martoriare le pelli è anche uno dei due cantanti, insieme al collega Martin Öhman che si occupa pure del basso e delle chitarre. Le due voci, perfettamente distinguibili l’una dall’altra, non sono mai presenti insieme, ma si alternano tra un pezzo e l’altro, contribuendo a variegare la proposta sonora. I riff, rigorosamente a motosega come la tradizione svedese comanda, si alternano in maniera piuttosto classica e prevedibile ma sempre funzionale alla dinamica del pezzo, pur non riuscendo a regalare momenti particolarmente eclatanti o memorabili.
Il vero problema di Night Embrace Me è proprio questo: i pezzi sono molto simili tra loro e si dimenticano facilmente dopo l’ascolto, tendendo a stancare già dalla seconda metà della scaletta: sembra infatti che le tre migliori tracce siano state messe una dopo l’altra a inizio e fine album, mentre il resto pare nient’altro che un riempitivo fatto da ripetizioni ad libitum degli stessi quattro riff e break in croce, secondo una formula tanto consolidata quanto ripetitiva.
Con queste premesse, l’ascolto di un album di quarantaquattro minuti risulta ostico anche per chi ama questo tipo di sonorità: una maggiore cura nella composizione e soprattutto qualche taglio di qua e di là avrebbe sicuramente giovato alla resa dell’album, rendendolo più diretto e di impatto. Le idee ci sono, le capacità anche: speriamo solo che la prossima volta i Cruentus riescano a essere più sintetici e — perché no — a trovare il coraggio per uscire un po’ di più dagli schemi compositivi di cui sembrano essere prigionieri.