CRYPT OF SILENCE – Beyond Shades | Aristocrazia Webzine

CRYPT OF SILENCE – Beyond Shades

 
Gruppo: Crypt Of Silence
Titolo:  Beyond Shades
Anno: 2014
Provenienza:  Ucraina
Etichetta: Solitude Productions
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TRACKLIST

  1. Walk With My Sorrow
  2. Bleeding Her Eyes
  3. The Wrath Song
  4. End Of Imaginary Line
DURATA: 49:40
 

"Beyond Shades": versione più breve e "user-friendly" del più complesso concetto "la sottilissima differenza che passa tra un disco semplice e piacevole e uno piatto e non incisivo". Se pochissimo tempo fa, proprio grazie alla Solitude Productions, mi soffermavo sul lato positivo di questa differenza parlando dei Restless Oblivion e del loro gothic-doom, con i Crypt Of Silence non posso che affrontare l'altro, più scosceso e ripido versante.

Death-doom di maniera, che non riesce mai ad andare un passo oltre il "carino, però…" per una molteplice serie di motivi: una produzione decisamente poco adatta a far risaltare gli strumenti, che paiono tutti monocorde, monocromatici, mono-qualsiasi-cosa-vi-venga-in-mente; un'incapacità di variazione che lascia scorrere quasi cinquanta minuti di disco lungo le stesse, medesime, inflessibili coordinate; ma anche e soprattutto la mancanza di pathos. "Beyond Shades" scorre, perché non può essere definito un disco "brutto", ma non riesce mai a convincere, a trovare quello spunto che, pur nei predefiniti canoni di un genere, permetta di godersi appieno l'ascolto e di apprezzare lo sforzo dei musicisti coinvolti. Nel caso della formazione di Ivano-Frankivsk, nell'Ucraina occidentale, purtroppo non si può fare a meno di constatare che i quattro brani che compongono quest'opera prima, alla fine, lasciano ben poco.

Le chitarre, in particolare, soffrono tremendamente, sono timide, passano inosservate, temono di mettersi in mostra e si riducono quindi a mero accompagnamento (tolto qualche sparuto assolo qua e là, pur senza mai cambiare velocità o approccio), privando un genere come il death-doom della propria fonte primaria di emozioni. Aggiungiamo a questo il fatto che la ben modulata e variegata voce del bassista Mikhael Graver è, come in ogni disco che si rispetti di questo specifico genere, utilizzata in maniera parca, e ciò che rimane sono lunghissimi minuti in cui… succede molto poco. Lo stesso riff macinato più e più e più volte, complice la produzione poco incisiva di cui sopra, porta presto a noia, anzi, a una più generica indifferenza nei confronti di ciò che succede all'interno del brano.

Insomma, è vero che il doom è lento e monolitico, tuttavia non basta andare piano per fare buona musica. Speriamo nel prossimo tentativo.