D.HATE – Game With Ghosts
Gruppo: | D.Hate |
Titolo: | Game With Ghosts |
Anno: | 2011 |
Provenienza: | Ucraina |
Etichetta: | Metal Scrap Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 29:57 |
Il brutto di suonare thrash-groove? Essenzialmente non c'è nulla di veramente brutto nel genere, il problema è che questo micromondo — come del resto quello metalcore che in parte ne ha appreso alcune varianti — si è standardizzato, per non dire cristallizzato. Più si va avanti, più è facile poter asserire con franchezza «ascoltato un disco, ascoltati tutti»: perché? Perché non sono tutti i Lamb Of God, non tutti hanno dietro al microfono un signore che fa di nome Randy Blithe, capace di non far rimpiangere Phil Anselmo e il Robbie Flynn dei tempi andati (aggiungerei anche Franky De Smet Van Damme, cantante dei belgi Channel Zero, band fantastica dell'ambito sin troppo poco considerata nei Novanta), così come non è da tutti avere sezioni ritmiche come quella odiernamente in possesso della formazione di Richmond, con Chris Adler a fare la differenza in un universo cresciuto sulle orme di Vinnie Paul, Chris Kontos e Dave McClain. La premessa era doverosa e probabilmente sarà più lunga della recensione stessa.
Una volta entrato in contatto con il disco degli ucraini D.Hate (la "D." sta per District) intitolato "Game With Ghosts", sono stato letteralmente inondato dai clichè: canonico nella forma, nella presentazione del riffato, nella maniera rocciosa e solida con la quale la batteria impatta, mancando però assolutamente delle qualità dinamiche offerte da quei musicisti dietro le pelli, che si sono elevati proprio per la cifra stilistica superiore. Lo stesso discorso vale per l'esecuzione vocale, sin troppo rigida e ostinata nel proporre per lo più un ringhio che sul lungo andare aumenta quella sensazione di attività monocorde che caratterizza i trenta minuti dell'album.
In ragione di tutto questo, viene da chiedersi — a meno che non si sia un accanito sostenitore di tali sonorità — per quale motivo si dovrebbe volutamente scegliere di mettere nel lettore "Game With Ghost" al posto di un qualsiasi altro lavoro similare. È questo l'iceberg che si pone contro l'operato meccanico, da operai meticolosi ma esageratamente racchiusi all'interno di cardini dai quali non riescono a uscire, del gruppo. A cosa serve quindi avere una prova strumentale discreta se manca l'anima?
Non mi sento di bocciare in toto ciò che i D.Hate hanno riversato in questa prima fatica, vale per loro come per tanti altri il fatto che non si possa campare di rendita sulle opere del passato, bisogna metterci del proprio e dare alla musica un'impronta un minimo personale; se poi non vi si riesce, tentare almeno di approcciare il genere offrendo virate più decise, cambi di tempo, soluzioni vocali che provino a giostrare la violenza, evitando la linearità. Per ora si è fermi alle basi e per prendere il volo ci vorranno tempo, dedizione e un po' d'inventiva. Rimandati.