DARKHER – The Buried Storm
Ormai è qualche anno che il duo inglese Darkher appare sul feed di molti dei social che frequento, anche se a causa dell’enorme mole di uscite musicali non lo avevo mai approfondito più di tanto. Sicuramente, però, l’estetica cupa delle sue copertine e i lunghi capelli color rame della cantante e polistrumentista Jayn Miven hanno avuto un ruolo chiave nel riuscire a non passare inosservati e a fare sì che tenessi il progetto a mente, ripromettendomi di dedicarmici un giorno. Quale migliore occasione, dunque, se non l’uscita di un nuovo disco?
The Buried Storm è il secondo lavoro fresco di pubblicazione per i Darkher, sulla sempre valida Prophecy, e propone poco più di quaranta minuti di un doom un po’ atipico, molto atmosferico e in effetti più tendente al dark folk. Non ci sono melodie particolarmente elaborate o ricercate, il ruolo chiave è ricoperto dalle tetre e uggiose atmosfere che esalano da ogni singola nota, accompagnate dalle inquietanti e allo stesso tempo delicate soluzioni vocali di Jayn. Anche a livello ritmico le percussioni sono abbastanza marginali, se non completamente assenti in alcuni brani, ad esempio “Sirens Nocturne” e “Where The Devil Waits”; in ogni caso non credo se ne senta poi troppo la mancanza. Il primo collegamento che mi è venuto spontaneo è stato quello con Chelsea Wolfe, soprattutto dopo aver ascoltato il pezzo “Love’s Sudden Death”, anche se in The Buried Storm la presenza dietro le quinte del doom è forse ben più massiccia rispetto ai lavori dell’artista statunitense.
I brani del disco non presentano cesure o interruzioni nette, poiché terminano tutti in dissolvenza: l’idea finale è quella di una litania ipnotica che si protrae in un continuum, ricamata di note appena sussurrate, dolci eppure così incredibilmente sinistre allo stesso tempo: un esempio concreto in questo senso è “The Seas”. Chi ha uno spirito un po’ più tormentato si troverà invece attratto come una calamita da “Immortals”, che con la sua batteria dai toni ossessivi si avvicina moltissimo a un folk di natura più ancestrale.
The Buried Storm mette insieme più anime dello stesso volto, lasciandoti addosso una sensazione di angosciante calma, in cui tutti i tuoi sensi sono in allerta, come se qualcosa di imprevisto stesse per succedere. Ho probabilmente descritto l’ansia con altre parole, ma credimi se ti dico che il disco riesce quasi a implorarti di ascoltarlo di nuovo. L’ultima fatica dei Darkher grida a gran voce di essere goduta in un contesto intimo, lontano dai suoni della città. Non è esattamente qualcosa che si possa ascoltare mentre si viaggia in treno o in bus, o in generale quando ci si infila nel traffico, per cui trova un momento adeguato. Se poi sei giù di morale ancora meglio, The Buried Storm ti terrà ottima compagnia.
Il disco è comunque una trasposizione più elaborata del canto delle sirene — della sirena, in questo caso — che con voce suadente ti attirano verso la tua rovina. Per questo motivo non garantisco che la voglia di vivere ti tornerà e non mi assumo alcuna responsabilità in merito, d’altra parte però ascoltiamo doom anche e soprattutto per soffrire.