DEATH TOLL RISING – Infection Legacy
Gruppo: | Death Toll Rising |
Titolo: | Infection Legacy |
Anno: | 2013 |
Provenienza: | Canada |
Etichetta: | Autoprodotto |
Contatti: | |
TRACKLIST
|
|
DURATA: | 47:25 |
Tre anni e mezzo dopo "Defecation Suffocation", tornano i Death Toll Rising, con il loro carico di death metal e di… ordinarietà: perché in "Infection Legacy" non c'è assolutamente niente di sbagliato, ma allo stesso tempo non c'è assolutamente niente di particolarmente giusto. È tutto tremendamente normale e piacevole, eppure altrettanto emotivamente piatto.
Nei quaranta mesi che hanno separato "Infection Legacy" dal suo predecessore, la band di Stony Plain (Alberta) ha aggiunto un secondo chitarrista alle sue file, ma si è ritrovata manchevole di un bassista (dello strumento si sono infatti occupati in parte un turnista, in parte i chitarristi Drew Copland e Tylor Dory); nonostante il cambiamento di organico, però, la vena compositiva della formazione non ha conosciuto particolari miglioramenti. Esattamente come tre anni fa i DTR suonano precisi, gradevoli e apprezzabili, con il loro sound un po' Kataklysm, ma senza il fascino delle hit da cantare e ballare tipiche del gruppo di Maurizio Iacono, e un po'… qualsiasi-altra-band-che-suoni-death-metal-e-abbia-una-produzione-pulitissima; esattamente come tre anni fa i DTR mancano di convincere del tutto. Se la produzione oggi è (ancora) più pulita che in precedenza, segno dell'atteggiamento estremamente professionale del gruppo, non si avvertono migliorie nella composizione e i diversi brani rimangono piuttosto anonimi, difficilmente riconoscibili gli uni dagli altri.
Le due chitarre svolgono un ottimo lavoro, macinando riff cattivissimi e non eccedendo mai nel virtuosismo fine a se stesso, mentre la batteria di Bryan Newbury (dal 2011 anche batterista degli Into Eternity) è un metronomo triggeratissimo e allucinato. A condire il tutto ci pensa l'ottima prova vocale di Jesse Berube, molto convincente sia nel growling più roco e cavernoso sia nel più intelligibile cantato sporco, alle prese con testi apocalittici e orrifici caratterizzati da un minimalismo espressivo che probabilmente è il tratto più personale del gruppo (quasi tutti i testi sono infatti composti da un susseguirsi di frasi minime o poco più). A mancare, quindi, è proprio la musica.
Le potenzialità che la band dimostra in questo secondo disco sono enormi, una consapevolezza dei propri mezzi davvero notevole, eppure non riesce a strappare più del classico «carino» a causa della imperversante sensazione di già sentito. Un album formalmente perfetto come "Infection Legacy" divertirà al primo ascolto, forse anche al secondo, ma l'appeal durerà poco, rendendo il prodotto adatto ai soli fanatici e completisti. A volte è meglio sbagliare qualcosa, ma farlo con carattere. Bisogna osare di più.