Déhà - Ave Maria II | Aristocrazia Webzine

DÉHÀ – Ave Maria II

Gruppo: Déhà
Titolo: Ave Maria II
Anno: 2021
Provenienza: Belgio
Etichetta: Naturmacht Productions
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TRACKLIST

  1. Ave Maria II
DURATA: 42:53

Ave Maria II è uno dei grandi esclusi dalle nostre Top 10 di fine 2021 perché — signore e signori — ci è sfuggito. Magari non conosci quell’eccentrico e iperattivo figuro che porta il nome di Déhà per la sua attività solistica ma per la collaborazione coi Wolvennest, il lavoro con Jacob di Mare Cognitum e Dany Tee dei Los Males Del Mundo a nome Acathexis o per gli anni trascorsi alla guida degli Yhdarl. Fatto sta che, lo scorso novembre, il belga ha pubblicato il suo venticinquesimo (!) album dal 2018 a oggi, anche questo in collaborazione con Naturmacht Productions, l’etichetta che lo supporta dall’uscita di A Fleur De Peau – III – A Fire That Does Not Burn,

Chiedersi che tipo di disco sia Ave Maria II è una domanda più che lecita, perché chiunque abbia un minimo di familiarità con la sua attività musicale sa che Déhà non ha limiti e spazia con assoluta nonchalance dall’ambient al black, passando per il metal più allucinato e allucinante. La sua ultima prova sulla lunga distanza, ora, si inquadra a metà strada nel continuum descritto poco fa. Il sequel di Ave Maria, titolo pubblicato non a nome Déhà bensì come parte della discografia degli Yhdarl, arriva a un decennio dal mattone originario e ne costituisce la continuazione perfetta, tanto stilistica quanto concettuale. Ai 50 minuti di ambient-drone claustrofobica che poi sfocia in un funeral doom pericolosamente vicino al DSBM dell’album del 2011 fanno ora seguito quasi 43 minuti di magniloquente melma putrescente, anche in questo caso racchiusa in un’unica mega traccia divisa, solo concettualmente, in due parti: “Morituri Te Salutant” e “Obliviscaris”.

Il male non conosce fine e il dolore non ha soluzione di continuità, nella produzione più spinta di Déhà, e Ave Maria II ci mette di fronte a questa tragica realtà senza troppi fronzoli e abbellimenti. L’incedere è sempre lento e magistrale, le atmosfere costantemente dense di sofferenza. Il lavoro di cesellatura effettuato su tutte le tracce non è che uno dei mille aspetti che contribuiscono a rendere ottima quest’opera. Ogni cosa è al suo posto, dalle urla in background a quelle in primo piano, dalle distorsioni agli archi, dal pianoforte alla batteria. È su questa fantasmagorica impalcatura di base che si inserisce la commistione tra le voci multiformi di Déhà e il timbro cristallino della soprano Madicken de Vries: un’accoppiata che scava con estrema facilità nell’animo di chi ascolta, tanto con gli accavallamenti in cui il belga spinge sullo scream quanto coi suoi momenti squisitamente corali, come quello al limite del sublime tra i minuti 11 e 12. Mentre la de Vries dà prova di una estrema padronanza del timbro lirico, Déhà vomita sui malcapitati che godono nel soffrire con la sua musica una valanga di male, talvolta con scream laceranti direttamente figli del depressive black, talvolta in toni più compressi e strascicanti, a metà strada tra quello che ci si aspetterebbe da un lavoro degli Amenra e da uno dei Cult Of Luna.

Una menzione speciale, in ultimo, va all’artwork utilizzato come copertina per questo splendido disco. L’opera, realizzata ad hoc da Alisa Snegova col sangue al posto dell’inchiostro, rappresenta un classico dell’iconografia religiosa cristiana, la Madonna con in grembo suo figlio. L’approccio con cui l’artista ricrea il tutto, però, si sposa benissimo con il clima solennemente austero e doloroso dell’album di Déhà: la supposta Madonna ha un’espressione serena, quieta, velatamente depressa, mentre quello che dovrebbe essere il Gesù tra le sue mani non è che uno scheletro inerte, morto, ipoteticamente privo di un futuro ma che ugualmente si stringe al suo seno, aggrappandosi alla vita anche nella morte. Tutto intorno, rami secchi in alto e fiori insanguinati in basso; una natura violentemente inerte che non distoglie l’attenzione ma che contribuisce a incorniciare lo stato d’animo che ricrea l’Ave Maria del belga. La ciliegina sulla torta di cui non sapevamo di avere bisogno.

C’è poco da fare, certe volte è impossibile essere al 101% sul pezzo. Meditabondo, magniloquente, massacrante: Ave Maria II avrebbe meritato facilmente un posto da qualche parte nelle nostre playlist di fine anno, ma non fa nulla. La presenza o meno di questo disco in una classifica non ne intacca il valore intrinseco. Déhà sa quello che fa e sa come farlo. Sarebbe più semplice per noi comuni mortali se non tirasse fuori dal cilindro settordicimila dischi nuovi ogni mese coi suoi duemila progetti, ma — ahinoi — dalla vita non si può avere tutto. Nel dubbio, preghiamo: «Ave Maria, dacci oggi il nostro male quotidiano. E risparmiaci le gioie della vita, come noi le risparmiamo a chiunque conosciamo. Non indurci in tentazione e liberaci dalle aspettative. Amen».