DOGS FOR BREAKFAST – The Sun Left These Places
Gruppo: | Dogs For Breakfast |
Titolo: | The Sun Left These Places |
Anno: | 2013 |
Provenienza: | Italia |
Etichetta: | Subsound Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 49:52 |
I cuneesi Dogs For Breakfast si rifanno vivi ripartendo dalla solida collaborazione con l'etichetta Subsound Records, per regalarci l'atteso album di debutto intitolato "The Sun Left These Places", a tre anni di distanza dall'ep "Rose Lane Was Tucker's Girlfriend", che li vedeva supportati dietro al mixer da Giulio "Ragno" Favero (Zu, Il Teatro Degli Orrori, One Dimensional Man) e al quale partecipò anche Luca T. Mai (Zu e Mombu). Stavolta in fase di missaggio c'è Massimiliano "Mano" Moccia, coadiuvato in due tracce da Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori e Super Elastic Bubble Plastic).
Il trio piemontese è di quelli che hanno fatto il botto. L'album è una ruvida collisione di più stili amalgamati in maniera tale da disorientare e ossessionare l'ascoltatore: il post-hardcore dei maestri Neurosis e le visioni legate all'ultima versione dei Cult Of Luna vengono sporcati da una coltre che si avvale di caratteristiche dei panorami noise, sludge e psichedelici per aumentare la sua valenza decadente e incatenante. L'esempio lampante è racchiuso nella disturbata e altalenante immagine sonora inglobata in "Vision".
I Dogs For Breakfast sono oltranzisti retrò: il calore delle scelte totalmente analogiche fa ribollire come un magma l'ondata core che trapela di traccia in traccia. Pezzi come "January 21", "Pull The Plug" e "The Chariot Of Death" ti ustionano con la pesantezza delle chitarre; altri brani, quali la trilogia infernale posta in fase centrale-prefinale formata da "Last Run", "Tsaatan" e "Red Flowers", invece alimentano un flusso ambientale sulfureo e intossicante apocalittico. Del resto il titolo del disco, "The Sun Left These Places", non è che lasci poi molto spazio alla luce e al sentore di speranza che solitamente le viene riconosciuta. Speranza che viene peraltro ulteriormente tramortita e gettata di lato dalla loro versione del classico Delta Blues "Cypress Grove Blues" di Skip James, rivoluzionato e reso affine al mondo lisergico e riottoso della band.
Chiamatelo disagio, chiamatela espressione di accecata frustrazione, usate e nominate le sensazioni emanate da questi ragazzi come meglio credete: ciò che non muterà sarà la voglia di mettere nel lettore il disco e calarvisi, dimenticando di possedere dei freni inibitori. Pertanto ve ne consiglio caldamente l'acquisto: è di quelli che valgono.