DRONTE – Quelque Part Entre La Guerre Et La Lâcheté.
Mentirei, se dicessi di sapere cosa aspettarmi da una band che ha scelto di chiamarsi con l’altro nome del dodo, il noto uccello ormai estinto; fortunatamente, i francesi Dronte fugheranno ogni mio dubbio con il loro album di debutto… o forse no.
Sette musicisti, ispirazione di natura metallica, nessuno strumento elettrico: questi sono gli ingredienti del «post-metal acustico» prodotto dal gruppo (definizione che riesce a dare solo una vaga idea della proposta) in Quelque Part Entre La Guerre Et La Lâcheté. Dicono di stare a metà strada tra il death metal e il post-rock, ma intorno ai Dronte gira anche tanto jazz, oltre all’ottima capacità di rielaborare concetti tipicamente metal in chiave acustica senza minarne la potenza, mantenendo solo la batteria e la voce come unici elementi almeno parzialmente legati alla musica estrema.
La vicinanza all’universo post- si palesa, ad esempio, con l’alternanza tra momenti di quiete e altri più energici: se i primi non suonano poi così diversi dalla norma, pur sfruttando più volte ritmiche di matrice trip-hop, i secondi evidenziano in pieno le peculiarità della band, con il suono profondo e vigoroso del contrabbasso a sostenere le due chitarre rigorosamente acustiche. Allo stesso modo, il comparto vocale segue le numerose variazioni emotive, giocando sull’espressività e sulla recitazione dello spoken word (stile usato maggiormente dal cantante) e trasformandolo, in alcune fasi, nel growl rabbioso che apre l’album in “Champion En Série”.
I musicisti si dimostrano competenti in vari ambiti: le sei corde si tingono spesso di tonalità magiche, come accade nella lunga e ammaliante “Sarcophage Du Succès” o nella seconda metà di “Escalade En Chute Libre”, nella quale l’ingresso della batteria, del vibrafono e infine del sassofono, in un progressivo crescendo di intensità, risulta uno dei passaggi più riusciti del disco. D’altra parte, la scheggia di follia che risponde al nome di “Notre Grande Machine” sintetizza alla perfezione lo stile del gruppo in poco più di un minuto e mezzo, racchiudendolo tra le due brevi sfuriate che aprono e chiudono il brano.
Non mancano nemmeno momenti in cui è il jazz a regnare sovrano: la parte centrale di “Un Vide Confortable” è il caso più lampante con le sperimentazioni tipiche del lato più avanguardistico del genere, tuttavia non è raro notare come esso prenda il comando della musica o comunque rimanga in qualche modo sempre presente in sottofondo. Il sassofono e la batteria rendono questo aspetto particolarmente evidente in “Sagesse Gardée”, così come il suono cristallino del vibrafono in più di un’occasione insinua questa sensazione.
A giudicare dal lavoro grafico a cura del contrabbassista e mente del progetto Benoît Bedrossian, la pioggia sembra essere un tema portante dell’album, idea ulteriormente enfatizzata dall’utilizzo del bastone della pioggia nel disco. Purtroppo la mia ignoranza della lingua francese non mi consente di approfondire le tematiche, il che è un peccato dato che sia il titolo (Da Qualche Parte Tra La Guerra E La Codardia) che la copertina non sembrano esattamente privi di un messaggio di fondo; mi toccherà lasciare ai nostri lettori francofoni il piacere di sviscerare i testi.
Al di là di ciò, il valore musicale di Quelque Part Entre La Guerre Et La Lâcheté. è indubbiamente alto: realizzare un’idea tanto originale quanto complessa in maniera impeccabile non è da tutti, ma i Dronte hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per farlo. Promossi a pieni voti.