DRUDKH – Всі Належать Ночі [All Belong To The Night]
Non dovrebbe esserci bisogno di presentazioni, parlando dei Drudkh e del loro ultimissimo lavoro, Всі Належать Ночі, che da qui in avanti chiamerò per comodità con la sua resa in inglese, All Belong To The Night. Il dodicesimo (!) album degli ucraini arriva a celebrare il ventesimo anno di vita del gruppo di Kharkiv e, insospettabilmente, ci presenta un quartetto in grandissima forma, nonostante l’attesa tra un lavoro e l’altro vada pian piano aumentando.
Se guardiamo alla carriera dei Drudkh, infatti, i loro primi cinque anni di vita li hanno visti esplodere di idee, producendo sei album tra il 2003 e il 2007, tra cui quella che i più considerano la loro gemma, Autumn Aurora. Poi, tra Estrangement e Microcosmos, altro momento cardine della loro discografia, il primo segnale di rallentamento. Due anni anche tra Handful Of Stars ed Eternal Turn Of The Wheel, e poi tre tra quello, A Furrow Cut Short e They Often See Dreams About The Spring. A quattro anni da quell’ultima, nera sterzata di black ferale e atmosferico sparata dritta contro le nostre gengive nel 2018, ecco finalmente arrivare All Belong To The Night, la monolitica testimonianza di una verità più profonda che, forse, andava ribadita: le attese dei Drudkh sono un male necessario, perché continuare a sfornare ottimi lavori a una manciata di mesi l’uno dall’altro sarebbe troppo.
È ancora la letteratura ucraina la principale fonte di ispirazione della band, che stavolta lascia il buon vecchio Shevchenko da parte per concentrarsi sugli scritti di Yakiv Savchenko, Antin Pavlyuk e Stepan “Ben” Bendyuzhenko, tutti nati tra il 1899 e il 1900 e appartenenti al cosiddetto Rinascimento fucilato. E così, viaggiando tra i mulini di Ben in “Млини [Windmills]”, il novembre di Pavlyuk in “Листопад [November]” e le due perle oscure di Savchenko, a cui sono affidate l’apertura “Нічний [The Nocturnal One]” e la chiusura “Поки Зникнем У Млі [Till We Become The Haze]” del disco, All Belong To The Night ci offre l’ennesima prova tangibile della bravura dei Drudkh. I riff sono oculati, pesati, l’alternanza tra blast beat e tessiture atmosferiche è calcolata al millimetro e tutto, da cima a fondo, si compone di trame fittissime, strati su strati di gloriosa poesia in musica.
Oltre le solite, felici parole da spendere sul lavoro degli ucraini, però, alcune considerazioni particolari. Già dall’apripista, nonché singolo anticipatorio dell’album, si nota un basso tondo, corposo, che fa quanto deve e anche di più senza però mai risultare invadente. Non un unicum che si avverte solo in “The Nocturnal One” ma una peculiarità d’esecuzione dell’intero All Belong To The Night: nelle fasi più quiete di “Windmills”, ad esempio, lo strumento emerge con fare quasi suadente in un accompagnamento ritmato al punto giusto, mentre nel bel mezzo dell’apertura si divide con una chitarra pulita e una distorta l’attenzione dell’ascoltatore, portandosi in prima linea con una grazia inconsueta a un assolo. Una performance, in generale, superba per il bassista dei Drudkh che, così facendo, diventa il valore aggiunto di un disco melodicamente, strutturalmente ed emotivamente impressionante.
Nulla di nuovo sotto il sole, sia chiaro, ma come fai a dire di no a un album così? All Belong To The Night è, probabilmente, il modo migliore con cui i Drudkh potessero scegliere di festeggiare il loro ventesimo anniversario di attività. Sicuramente una delle uscite di genere dell’anno, senza se e senza ma.