DUNNOCK – A Forest Of Shattered Promise
Gruppo: | Dunnock |
Titolo: | A Forest Of Shattered Promise |
Anno: | 2013 |
Provenienza: | U.S.A. |
Etichetta: | Acephale Winter Productions |
Contatti: | Facebook – Bandcamp |
TRACKLIST
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DURATA: | 40:29 |
Torniamo dalle parti della Acephale Winter Productions, l'interessante etichetta d'oltreoceano che si prodiga nella produzione di nastri black metal, parlando stavolta della sua prima uscita in assoluto: il lavoro di debutto dell'oscuro progetto Dunnock, nome anglosassone della "passera scopaiola". Proveniente dalla Bay Area, la band è composta in modo affatto tradizionale: Jacob Thomas (che indizi lascerebbero intendere come la mente dietro la AWP) all'opera con musiche, voci e fotografia, Aidan O'Flynn si occupa della viola elettrica e del design dell'album, mentre Tammy McCoy e Jasen Wise si spartiscono l'utilizzo del microfono con le voci pulite.
Le terre che i Dunnock lambiscono sono fosche e ributtanti, lande dove è il disagio a farla da padrone e la sanità mentale e il benessere non sono che pallidi ricordi. "A Forest…" sguazza nel limo del dark ambient "a basso costo", con suoni ruvidi e sintetici, ma non disdegna puntate black metal, sempre lo-fi e dalla resa (con tutta probabilità volutamente) orribile e disturbata. Il risultato è un amalgama non meglio definito di escursioni ambientali, qualche sintetizzatore sparso, drum machine da cefalea dispersa nelle nebbie e chitarre sporche, marce e grezze. E poi atmosfere litaniache, note ripetute all'inverosimile, feedback e rumorismi di sorta disseminati un po' ovunque ad arricchire la gamma di suoni. Mi sembra di trovare svariati punti di contatto tra il modo di intendere la musica disturbata di Jacob Thomas e le uscite della Swampkult Productions, altra casa di produzione a stelle e strisce dal basso budget e in cui il malessere esistenziale spadroneggia.
Un aspetto va però sottolineato nella prima prova della neonata creatura californiana: la mancanza di organicità. Ho sempre apprezzato i tentativi di trasporre in suono il male di vivere, la sofferenza cui l'esistenza tenta di farci abbandonare, ma non basta mettere in fila una serie di soluzioni estetiche disturbate per fotografare il malessere. Passare dalla tastiera al rumore del vento, alle urla sporcate di effettistica, alla drum machine in sottofondo, all'apertura atmosferica sintetica, ai gemiti, alle voci pulite, alle chitarre black metal, tutto senza un'idea precisa, finisce in questo caso per risultare controproducente. Minuti e minuti di vuoto al termine di "She Was Cold" per poi ripiombare in qualche secondo di disordine black metal in realtà non servono ad altro che ad attenuare le disparità tra i brani del lato A e quelli del lato B, poiché questi ultimi durano sensibilmente di più rispetto alle loro controparti; ancora, la breve outro "Howling At The Wind", in poco più di un minuto e mezzo, spazia da raffiche di vento ululanti a un finale di pianoforte anni '30 senza (apparente) motivo.
"A Forest Of Shattered Promise" sembra un catalogo di suoni, idee e soluzioni disponibili, ma ancora mancanti di giustapposizione, quasi in attesa di una guida, di una trama di fondo che ne permetta la piena comprensione, per quanto folle o psicotica possa essere. Senza un fil rouge che dia senso (o mancanza di senso) al tutto, il lavoro dei Dunnock rimane un coacervo di idee malate caotico e incompiuto.