(ECHO) – Head First Into Shadows
È in notevole ritardo, ma l’importante è pur farlo, che scrivo dell’ultima opera partorita in casa (EchO). La band nostrana è da sempre seguita qui su Aristocrazia: in passato ci siamo occupati del debutto Devoid Of Illusions, di Promo 2010 e Omnivoid. Adesso mi ritrovo fra le mani Head First Into Shadows che li consacra definitivamente, come del resto era nella mie aspettative.
Cinque anni sono trascorsi fra l’uscita del primo disco e il secondo, ma l’attesa non è stata vana, dato che i ragazzi ci hanno ripagato con una prestazione maiuscola. Il già vasto repertorio di soluzioni è stato ulteriormente allargato, annettendo stabilmente al suono doom-death di base una vena post-metal e una sofisticatezza progressiva che ne espandono e alimentano il fosco grigiore, cromatismo dominante pervaso da una malinconia dolciastra.
Sognare ed essere svegliati bruscamente, per poi rituffarsi in scenari onirici: una suggestiva altalena emotiva che assume una forma concreta sin dall’apertura “Blood And Skin”, probabilmente la traccia più canonica e ancorata al panorama doom-death, ma in grado di stupire per la prova di Fabio Urietti, calatosi perfettamente nel ruolo di cantante, e per l’atmosfera settantiana e seducente che si impossessa improvvisamente del riffing. Quest’ultima affiora inoltre tramite il prog melodico e il lieve connotato folk che adornano “A Place We Used To Call Home” e attraverso il possente, naufragante e caleidoscopico approccio di “Beneath This Lake” (episodio al quale prende parte Daniel Droste, cantante degli Ahab), imperscrutabile, profonda eppure affascinante come è l’Oceano.
L’entrata in gioco di “Gone” mescola un po’ le carte in tavola, favorendo l’esplorazione di una dimensione più liquida, evocativa e di natura post-metal che ben si presta ad accogliere il secondo ospite, Jani Ala-Hukkala, l’uomo dietro al microfono dei Callisto. Gli (EchO) non fissano più acque oscure e abissali, bensì rivolgono lo sguardo in direzione delle vastità cosmiche, alleggerendosi e divenendo più fruibili e languidi. Allentano poi ancora la presa nella successiva “A New Maze”: l’atmosfera, in alcuni frangenti a dir poco crepuscolare, si tinge così anche di una intrigante aura rock. “Order Of The Nightshade” chiude infine il lavoro: una creatura inquieta, cupa e drammatica che offre il fianco al versante gotico del suono, ricordandoci come i bresciani siano ormai maestri nel mutare forma in corsa, portando a casa sempre e comunque degli ottimi risultati.
Head First Into Shadows è un signor album e non c’è nulla che non vada. Del resto Urietti ha dimostrato di possedere un carattere proprio, soprattutto per quanto riguarda le linee di voce pulita; la prestazione strumentale rasenta invece la perfezione, con sugli scudi l’operato del tastierista Simone Mutolo, ideale cesellatore atmosferico di gran classe. Produzione e master (processo affidato nuovamente alle sapienti mani di Greg Chandler degli Esoteric) donano consistenza e modernità alla prova. E la musica? La musica è visceralmente emotiva, un condensato di grinta e delicatezza, di passione, rabbia e melancolia che non stanca mai.
La mia recensione precedente si chiudeva così: «gli (EchO) vanno acquistati, i perché sono tanti, troppi, e vi verranno confermati in massa dalle volte che il disco girerà nel vostro stereo. Supportare una band di tale livello è un dovere, oltre che un immenso piacere». C’è davvero bisogno che mi ripeta?