Emma Ruth Rudndle - On Dark Horses

EMMA RUTH RUNDLE – On Dark Horses

Gruppo: Emma Ruth Rundle
Titolo: On Dark Horses
Anno: 2018
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Sargent House
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TRACKLIST

  1. Fever Dreams
  2. Control
  3. Darkhorse
  4. Races
  5. Dead Set Eyes
  6. Light Song
  7. Apathy On The Indiana Border
  8. You Don’t Have To Cry
DURATA: 42:11

Il quarto album di Emma Ruth Rundle arriva accompagnato da un comunicato stampa che è un tema di due pagine: si parla di come la chitarrista dei Red Sparowes si sia trasferita in Kentucky per amore, di come il Kentucky abbia portato un sacco di cavalli nella sua vita, e di come i cavalli siano il filo conduttore del disco, tanto da dargli un titolo.

«I cavalli continuano a trovare un modo per intrufolarsi nei testi e nella dimensione visuale di questo disco. Sono forti e meravigliosi, ma non sono mai davvero liberi. E un cavallo scuro per me è un’immagine che rappresenta una forza che viene contenuta, ma che vincerà la corsa o eccederà le aspettative», dice Rundle. Ed è un’immagine forte anche quella offerta dall’attacco di “Fever Dreams”, un richiamo potente a Chelsea Wolfe e al crescendo di voce, chitarrone e disagi che grazie a lei abbiamo imparato ad amare nell’ultimo decennio o giù di lì. Questo disco è ormai molto lontano dalle prime cose che Emma Ruth ci aveva raccontato in “Electric Guitar: One”, niente più psych folk improvvisato o poco più, ma vere e proprie canzoni, con addirittura partecipazioni altrui (tra cui Dylan Nadon dei Wovenhand e proprio il compagno Evan Patterson). On Dark Horses finisce così per essere non solo il primo caso in cui Rundle non suona tutte le chitarre in un proprio album, ma anche il lavoro che la sancisce definitivamente come cantautrice ad ampio spettro, in grado di cesellare finemente brani con una propria struttura e una propria personalità.

L’altra faccia della medaglia è che On Dark Horses è un disco pensato, scritto con una consapevolezza che sacrifica l’urgenza che faceva di Some Heavy Ocean un’opera importante, oltre che bella. Paradigmatico è il fatto che di tutti gli otto pezzi soltanto il conclusivo “You Don’t Have To Cry” sia stato scritto di getto e non abbia subito rielaborazioni o modifiche in studio. Negli episodi in cui Emma Ruth Rundle riesce a unire alla consapevolezza un’ispirazione naturale, che sgorga dal profondo, ecco però che sbanca: la title track unisce riflessioni e pensieri a dreampop e chitarroni, la già menzionata “Fever Dreams” parla di vite a pezzi e di malessere in toni folk scuri e angosciati, mentre “Races” è un capolavoro di razza della canzone americana tra alcolismo e alcolismo di provincia. In tutti gli altri siamo solo davanti a un’ottima cantautrice in grado di scaldare il cuore con la sua voce traboccante di sensazioni e sfumature.

Io non so se i cavalli del Kentucky effettivamente vinceranno la gara, certo è un piacere starli a guardare mentre ci provano.