ENDNAME – Anthropomachy
Gruppo: | EndName |
Titolo: | Antropomachy |
Anno: | 2011 |
Provenienza: | Russia |
Etichetta: | Autoprodotto |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 01:13:36 |
Rientro in scena a due anni di distanza dal debutto "Dreams Of A Cyclops" per i russi EndName. la compagine doom/sludge/post- univocamente strumentale ci presenta il secondo lavoro "Anthropomachy" e di strada questi già bravi musicisti sembrano averne fatta parecchia, sia in termine di scelte di suono, che per quanto concerne l'ambito compositivo.
L'esperienza accumulata in questo biennio è sicuramente giovata al quartetto che nel frattempo ha subito anche un cambio in line-up, alla sei corde non vi è più Sergo Meskhidze a far da compagno a Sergey Kaplin, bensì Dmitry Churilov.
La sensazione d'aver a che fare con un flusso di suoni orchestrato in maniera coerente in ogni singola variante viene confermata dalla traccia d'apertura "Black Light", il pezzo mostra di possedere un'ottima coesione strumentale e uno sviluppo sciolto ed effervescente, ma pur sempre mantenuto in vita da tinte scure. È però solo la prima delle facce che il disco ci permette di visionare. È infatti già diverso l'approccio offerto dalla seconda "Neuros[e]" nella quale è palesemente il lato progressivo e sperimentale, caratterizzato da continui cambi di tempo e chitarre asincrone ridondanti con una quasi costantemente impegnata in ruolo solistico, a creare le melodie portanti del pezzo.
Le tonalità doom più pesanti e profonde cominciano a scavare nel terreno in "Under Asphalt", l'atmosfera diviene più ampia, si espande passaggio dopo passaggio assorbendo quella poca luce intravista in precedenza, schiacciandola sotto la mole imponente del riffing sovraccarico di sofferenza e da pattern di batteria, a dir la verità, mai troppo complessi a scandire le dinamiche dilatate nella quali vi è il dovuto spazio per sbalzi umorali, non troppo accentuati, tuttavia adeguati a fornire personalità a un brano che dopo la metà tende a svegliarsi.
La differenza di base che fa pendere il piatto della bilancia dal lato di "Anthropomachy" è insita nell'esposizione fatta della proposta in esso contenuta, offre una gamma di soluzioni a ventaglio adeguate e coinvolgenti per svariate tipologie di seguaci sia del filone doom che di quello post-metal.
I tratti orientaleggianti di "Old Star", traccia che coniuga severità ed esplorazione, sono la riprova di uno studio e di un provare con coraggio a guardare sempre un passo più in là attingendo anche dai lidi più odierni e anche quando si rimane all'interno di recinti artistici noti, come avviene in "Clouds Fly To The East" e "Not Dead", il gruppo riesce nell'evitare lungaggini e ripetizioni eccessive che possano far approdare momenti di noia.
Dopo quella che si può definire come una fase di stasi e relax, con "Horizon" vengono alimentate ancora una volta le frange post del suono che, mantenendo inizialmente la quiete antecedentemente costruita, in sordina prendono a innalzare un muro sempre più alto e robusto avvolto dalle melodie chitarristiche che diventano presenti e accativanti. La fine di "Anthropomachy" è quasi giunta, rimane solo la canzone che ne prende il nome e stavolta è un oceano costituito da droni e approfondimenti in territorio noise, lento e dispersivo nel conquistare un raggio d'azione che sembra formare delle ellissi che si allargano sino a svanire, bel trip.
Stavolta l'acquisto dell'album ci scappa, è un consiglio che in molti potrebbero voler seguire data l'evoluzione e l'equilibrio che la band sono riusciti a raggiungere, producendo un lavoro solido e sperimentale quanto basta. Non rimane dunque che attenderne il capolavoro futuro, arriverà? Vedremo.