Eucharist - Into The Void | Aristocrazia Webzine

EUCHARIST – Into The Void

Gruppo: Eucharist
Titolo: Into The Void
Anno: 2022
Provenienza: Svezia
Etichetta: Regain Records
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TRACKLIST

  1. Shadows
  2. A Vast Land of Eternal Night
  3. Goddess Of Filth (Tlazolteotl)
  4. In The Blaze Of The Blood Red Moon
  5. Mistress Of Nightmares
  6. Queen Of Hades
  7. Nexion
  8. Where The Sinister Dwell
  9. In The Heart Of Infinity
  10. Lilith
  11. Darkness Divine
  12. I Am the Void
DURATA: 01:16:27

Devo confessare di aver atteso l’uscita di Into The Void covando in me sentimenti ambivalenti. A partire dal primo annuncio della reunion degli Eucharist avvenuto verso la fine del 2015, passando per le dichiarazioni che li vedevano tornare a lavorare a un nuovo album, sino ad arrivare al lungo silenzio stampa che ha preceduto l’arrivo del primo singolo “Shadows”, mi sono ritrovato a temere che le cose potessero non andare per il verso giusto.

Da una parte c’erano gli Eucharist, quelli che negli anni ’90 hanno contribuito a delineare il death melodico svedese. Sebbene ci sia la tendenza tra gli addetti ai lavori e i fan di dimenticarsi del nome della formazione quando si citano i vari At The Gates, Unanimated, Necrophobic, Dark Tranquillity e colleghi, il loro debutto A Velvet Creation (1993) è stato un lavoro seminale che anticipava alcuni elementi che oggi sono riconosciuti come tipici del genere; mentre il seguito Mirrorworlds (1996), il disco giusto nel momento sbagliato, è un album intensamente melodico che meriterebbe di essere riscoperto, ma che ha pagato l’essere arrivato sulle scene in un periodo dove le uscite di questo genere erano troppe e l’interesse cominciava a scemare.

Dall’altra parte, tuttavia, troviamo il fenomeno della reunion, dei grandi ritorni sulle scene a distanza di anni, un fenomeno che non sembra fare alcuna discriminazione in base al successo o alle attese dei fan. Nomi piccoli, anche piccolissimi, che non hanno pubblicato nulla per venti o trent’anni si sono accodati a quelli più grandi che per primi hanno deciso di rispondere alla domanda dei fan di avere nuova musica sotto quel nome. Tuttavia se andiamo a vedere gli esiti riusciti bisogna ammettere una certa insoddisfazione, dato che questi album arrivano nelle nostre orecchie con tante pretese che, una volta diventata ovvia l’impossibilità di raggiungerle, ci costringono a ricorrere ai soliti sofismi che riguardano il contesto e il tempo trascorso dai lavori originali.

Tornando agli Eucharist, io davanti all’annuncio di un nuovo album e ai ritardi mi sono ritrovato sulle spine: volevo un seguito di Mirrorworlds e al contempo non lo volevo. Siamo oggettivi: in una situazione simile è difficile calibrare le proprie aspettative. Il primo singolo “Shadows”, che trovate in apertura a Into The Void, ha confuso ulteriormente le acque: il brano, sin dall’attacco, propende molto più verso il black metal che verso il death melodico, lasciando a questo un ruolo di secondo piano. Inizialmente l’ho accolto con una forte perplessità, proprio perché non veniva incontro alle mie aspettative, e ciò ha contribuito a rendere la mia posizione verso questa attesa ancora più indefinita, e in un certo senso dolorosa. Perciò eccomi qua, a scrivere che per Markus Johnsson il tempo è passato, che non si può chiedere agli Eucharist di pubblicare un altro A Velvet Creation, che la formazione ora vede l’attuale batterista dei Marduk, Simon Schilling, a prendere il posto del rinomato Daniel Erlandsson, troppo impegnato a suonare in un altro album degli Arch Enemy che non ascolterò, eccetera. A questo punto mi sono domandato se sarei stato in grado di accettare Into The Void per quello che sarebbe stato, oppure se sarebbe stato il caso di ascoltare i miei timori e lasciar perdere il ritorno degli Eucharist, facendo finta di niente.

Comunque, alla fine ha vinto la curiosità, ed è stato un bene. Into The Void è scritto da musicisti perfettamente consci di cosa comportava resuscitare gli Eucharist, ma al contrario di molti colleghi non hanno pubblicato musica solo per far tornare in auge il nome, ma si sono presi tempo per riflettere, e in tal modo sono riusciti a trasformare quella che di norma è una difficoltà, cioè il tornare sulle scene dopo decenni, in un’occasione. Into The Void comporta una virata stilistica verso territori più vicini al black metal svedese, quello dei primordi dove il confine con il death metal appariva tuttalpiù nebuloso. Questo stile a primo acchito stride con l’epicità delle correnti heavy che attraversavano Mirrorworlds, tuttavia colpisce come la formazione sembri comunque a suo agio, in un certo senso riconoscibile, in questa nuova forma. In altre parole, questa virata stilistica non ha affatto comportato una perdita del senso melodico caratteristico della band, che invece non si fa problemi a irrompere con naturalezza all’interno di brani che spesso suonano molto serrati e agghiaccianti. Sebbene le tracce siano strutturalmente canoniche, quasi tutte riescono nell’impresa di amalgamare i momenti dove vince la malinconia svedese e le forme più affilate di black metal della loro terra, non lontano da quanto offerto dalle prime opere di band come Dark Funeral, Setherial e Naglfar.

I settantasei minuti di Into The Void sono tanti, e ad essere sinceri contengono due o tre momenti non esattamente memorabili, ma al contempo le sorprese non mancano di certo: “In The Blaze Of The Blood Red Moon”, “Godddess Of Filth (Tlazolteotl)”, “Mistress Of Nightmares”, “In The Heart Of Infinity”, o il conclusivo “I Am The Void”, per fare degli esempi, sono tutti brani che hanno un’identità propria che vanno a costituire una scaletta variegata e che presenta diverse sorprese, riuscendo così a bilanciare in fatto di longevità il problema della durata.

Tirando le somme, il ritorno degli Eucharist si configura come la ripresa di un percorso personale, una continuazione di un filo logico che purtroppo è rimasto interrotto per due decenni e mezzo e del quale non abbiamo potuto vedere gli sviluppi intermedi. La sensazione è quella di trovarsi davanti a una scelta ponderata, che però potrebbe rendere esitante chi cercava musica più prossima a quanto mostrato dalla band negli anni ’90, ma questa considerazione non ha alcun merito nel mettere in discussione le indubbie qualità di Into The Void, una volta isolato dal suo ingombrante passato.

In fin dei conti è quello che vogliamo da una formazione del genere: gli Eucharist non ci devono nulla, né riguardi né tanto meno giustificazioni per il loro operato. Hanno fatto di testa propria e sono riusciti a produrre un album che lascia il segno. Pur essendo molto fruibile, Into The Void è un’opera che nasconde molti dettagli, molta complessità, e che presenta dei picchi di scrittura che ci fanno venire voglia di averne di più. Mi auguro che questa non sia l’ultima volta in cui si sentirà parlare degli Eucharist, perché al di là della veste nuova si sente il bisogno del loro modo di concepire la musica.