FINAL LIGHT – Final Light
Nel 2019 Walter Hoeijmakers, direttore artistico dell’acclamato Roadburn Festival, si presenta a un certo musicista francese di nome James Kent e gli propone di scegliere un artista per una collaborazione. Non è la prima volta che vengono commissionati progetti apposta per il Roadburn, tra i più recenti cito giusto i GGGOLDDD, il cui This Shame Should Not Be Mine è stato pensato per il Roadburn Redux, evento online del 2021: evidentemente Hoeijmakers è uno che ha orecchio, perché James Kent — per chi non lo sapesse — è Perturbator, giusto una delle personalità più influenti della musica elettronica e synthwave degli ultimi anni. Totalmente impossibile non notare come la synthwave abbia conosciuto e stia ancora conoscendo un momento di gloria e di ascesa, in particolar modo tra i fan del metal, probabilmente anche grazie allo stesso Perturbator e al suo passato di musicista black metal, chissà.
Ad ogni modo, James accetta e sceglie il frontman di un progetto musicale assai lontano dall’elettronica, un certo Johannes Persson a caso, leader dei Cult Of Luna. In un certo senso una collaborazione tra i due mondi c’era già stata nel 2018, quando Perturbator remixa “Cygnus”, brano a sua volta nato dal connubio dei Cult Of Luna con Julie Christmas. Evidentemente al nostro francese non piace la banalità e, approfittando anche di un momento di produzione artistica molto fervente (l’ultimo lavoro di Perturbator esce appena due anni dopo, nel 2021, stesso anno del debutto dell’altro suo progetto Ruin Of Romantics), decide di andare oltre il remix synthwave di un pezzo tra post-metal e hardcore, per far nascere direttamente un’unione tra i due mondi.
Il prodotto di tale unione si intitola Final Light, così come questo improbabile — ma non troppo — duo, che ha debuttato sul palco del festival olandese nell’aprile di quest’anno, con un paio di anni di ritardo sulla tabella di marcia causa Covid. Johannes si occupa della voce, oltre che a inserire qua e là la sua chitarra (ad esempio in “It Came With The Water”), Perturbator del resto, e il risultato è esattamente come ce lo si può aspettare: atmosfere elettroniche che non sfigurerebbero come sfondo di paesaggi futuristici, unite a urla graffianti che riuscirebbero facilmente a scioglierti la faccia, come i Cult Of Luna ci hanno insegnato nella loro incredibile carriera.
Va fatto probabilmente un piccolo excursus: il tipo di synthwave scelto da Perturbator non è quello movimentato, ritmato e rapido di The Uncanny Valley, ma quello molto più lento e atmosferico già presentatoci anche parzialmente in New Model e nel più recente Lustful Sacraments. Per questo motivo, pur avendolo apprezzato tantissimo, l’ultimo lavoro di James Kent non è riuscito a darmi esattamente ciò che desideravo, ma probabilmente all’interno del contesto Final Light, in cui è presente anche Persson, la scelta più saggia è stata proprio quella di dilatare le atmosfere e rallentare i ritmi, in una sorta di vuoto che sa di doom, basse frequenze e disperazione. Rimane la curiosità di sapere che forma avrebbe assunto una collaborazione meno dark e più movimentata, di cui abbiamo un microscopico assaggio nella title track: probabilmente avrebbe veicolato sentimenti diversi. Per ora tuffiamoci nella tempesta di dolore che è questa vita, come dice colui che ha introdotto tutti noi al doom e che non serve nemmeno nominare.
I temi trattati dai Final Light sono relativi a esperienze toccate più o meno con mano da Johannes, che si è trovato indirettamente ad avere a che fare con una persona narcisista e poco equilibrata. Contatti del genere sono portatori di ansia, rabbia e odio, ed è proprio questa triade di negatività la protagonista dei sei brani del disco, con tutto ciò che ne consegue: rapporti che si sfaldano, amicizie disintegrate, persone che sono vive ma, allo stesso tempo, sono defunte. La dilatazione delle pure atmosfere scelta da Perturbator, con la sezione ritmica assente, in qualche modo costruisce l’attesa per l’esplosione delle urla di dolore che — lo sappiamo — stanno arrivando. Le avvertiamo, ce lo sentiamo. Un esempio calzante sono i primi due brani, “Nothing Will Bear Your Name” e “In The Void”, anche se va specificato che non c’è una cesura netta fra i sei capitoli di Final Light, che formano un continuum. In pratica è un incessante alternarsi di apparente e oscura calma, prima dello scoppio del climax.
Final Light riesce in qualche modo a sorprendere anche chi ha familiarità con Cult Of Luna e Perturbator, perché un conto è aspettarsi un certo risultato, un altro è effettivamente metterci le mani sopra e ascoltarlo. James e Johannes probabilmente nemmeno si attendevano una collaborazione del genere, magari non ci avrebbero pensato se una terza persona non si fosse messa di mezzo. Personalmente ho impiegato mesi a trovare il modo, il tempo e la concentrazione per ascoltare l’ibrido che è il progetto Final Light: meglio tardi che mai, ora chi lo molla più.