FORMALIST – We Inherit A World At The Seams
Gruppo: | Formalist |
Titolo: | We Inherit A World At The Seams |
Anno: | 2023 |
Provenienza: | Italia |
Etichetta: | Brucia Records |
Contatti: | ![]() ![]() ![]() |
TRACKLIST
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DURATA: | 44:03 |
«Ereditiamo un mondo in crisi»
Non mi aspettavo sorprese dai Formalist in merito alla scelta delle tematiche da trattare nel loro disco numero due, ma qui probabilmente risulterà più semplice riconoscersi nella visione delle cose della band piacentina. Non è nemmeno necessario chiedersi perché il mondo che ci lasceranno i nostri genitori e i nostri nonni venga descritto con queste parole, possiamo solo essere d’accordo.
Avevo già parlato in separata sede anche del disco di debutto dei Formalist, No One Will Shine Anymore, uscito nel 2018 per Third I Rex, e anche stavolta il quartetto di soliti noti — membri di Malasangre, Viscera/// e Forgotten Tomb — ha scelto per l’artwork un’immagine, anzi una foto, appartenente se vogliamo alla cultura popolare e che probabilmente conoscerai già. La prescelta a figurare sulla copertina del primo disco era la giovanissima Brenda Ann Spencer, che nel 1979 entrò armata alla Grover Cleveland Elementary School di San Diego e uccise due persone, ferendo anche otto bambini. La motivazione che diede per tale gesto fu, molto crudamente e cinicamente «non mi piacciono i lunedì».
We Inherit A World At The Seams si presenta invece al mondo tramite la figura di Yukio Mishima, scrittore e poeta giapponese maniacalmente ossessionato dalla morte e perseguitato da un’idea di splendore che non riuscì più a trovare in nessun modo nell’epoca in cui visse. La foto scelta dai Formalist, anche questa piuttosto conosciuta, mostra Mishima nell’atto di inscenare la sua morte tramite seppuku, il suicidio rituale riservato ai samurai. Dico inscenare perché si tratta semplicemente di un atto artistico e non reale, anche se in effetti seppuku lo fece poi davvero, nel 1970: prima tenne un discorso patriottico, tradizionalista e di esaltazione dell’Imperatore, scagliandosi contro la costituzione, poi si trafisse al ventre con la spada e si fece decapitare dal suo amico più fidato, che però sbagliò il colpo di grazia per tre volte. Alla fine, Mishima comunque ce la fece a lasciare questo mondo crudele.
Se il Pianeta era già agli sgoccioli negli anni ’70, figuriamoci in che condizioni potrà mai essere ora. I Formalist su questo non hanno alcun dubbio: il sole sta morendo, gli edifici crollano, le case bruciano e nemmeno il vero amore è per sempre (cit.). We Inherit A World At The Seams racconta di un mondo abitato da individui profondamente danneggiati e senza speranza, concentrando il tutto in tre lunghe, densissime tracce per la maggior parte del tempo strumentali, in cui convergono sludge, drone e doom. Passaggi atmosferici ed elettronici, soprattutto nella parte centrale ma che si trovano un po’ in tutto il disco, e bassi possenti come calci al petto sono le principali caratteristiche del brano di apertura “Warfare”. È proprio l’elemento elettronico a mettere in evidenza alcune differenze tra la prima parte del pezzo, più aggressiva e violenta, e la seconda, fatta di pura e palpabile disperazione.
La successiva “Monuments” si apre con una lunga strofa recitata in cui, molto poeticamente, gli esseri umani danzano tra le ceneri di monumenti ormai privi di senso, che non hanno alcuna speranza di restare in piedi ora che il mondo è in fiamme. Il messaggio nichilista dei Formalist continua a palesarsi nelle dettagliate descrizioni di scenari in cui più niente e nessuno può cambiare la situazione: l’essere umano è dannato e non bisogna disturbarsi ad aspettare di finire da qualche parte all’Inferno, tanto è già sulla Terra e si è fatto strada indisturbato, guerra dopo guerra, strage dopo strage. Il ritmo di “Monuments” è funereo, inesorabile, impetuoso.
I quasi sedici minuti di “Selfish” chiudono infine la scaletta, probabilmente i più melodici — passatemi il termine — del disco, introdotti da una parte parlata in lingua francese, prima di partire con una serie di accordi che, devo dire, ammorbidiscono molto l’atmosfera, comunque riempita dalle grida inesorabili di Ferdinando HM Marchisio. In una sorta di litania funebre, arriviamo alla conclusione dell’album in un tripudio di caos e feedback. Probabilmente è così che finirà il mondo.
We Inherit A World At The Seams è come me lo sarei aspettato, il che non vuol dire che non presenti sorprese o risulti banale. Le tematiche sono curatissime, i suoni taglienti e claustrofobici, l’obiettivo finale di farci sentire uno schifo e allo sbando raggiunto per direttissima. È un disco adattissimo ad aumentare esponenzialmente il senso di fine imminente che un po’ tutti noi abbiamo sicuramente sentito a più riprese almeno negli ultimi tre anni, e vuole essere una stima ottimista.