GADIR – Declivities
Pantelleria, anticamente chiamata Cossyra, è un’isola situata al largo delle coste occidentali siciliane, a soli 80 chilometri dalla Tunisia. Abitata sin dal Neolitico, poi divenuta insediamento fenicio e romano, l’isola subì il dominio arabo per ben 500 anni, cosa che si riscontra tuttora: malgrado le successive dominazioni aragonesi e savoiarde, infatti, la toponimia e il dialetto locali conservano una notevole influenza saracena.
Una delle località più conosciute dell’isola siciliana è Gadir, una sorta di porto naturale da cui prende il nome il progetto di cui vi parlerò, che rimane per gran parte avvolto nel mistero: nessun contatto, nessuna pagina Facebook, nessuna informazione sulla lineup. Tutto quello che sappiamo sui Gadir è che vengono da Pantelleria e che hanno prodotto, rigorosamente in cassetta, il loro primo demo per la Cossyra Tapes, sublabel di Xenoglossy dedicata alla scena locale che annovera nel suo roster anche i concittadini Gelkhammar.
I ventidue minuti che compongono Declivities sono caratterizzati da un black metal che al primo ascolto risulta primordiale e grezzo nella sua estetica tutta lo-fi, con suoni ripetitivi e poco definiti, a tratti quasi noise, che si mescolano tra loro dando vita a un risultato omogeneo e al contempo sfuggente, molto probabilmente frutto di una registrazione analogica. Le chitarre, caratterizzate da un suono gracchiante e improntato sulle frequenze medio-alte, coprono praticamente ogni elemento della batteria, predominando anche sulla voce che spesso risulta in secondo piano.
Pur avendomi convinto sin dal primo momento, Declivities ha necessitato di svariati ascolti perché io riuscissi a coglierne le più svariate sfumature e ad addentrarmi nelle sue atmosfere. Mi sono dunque reso conto di come dietro l’estetica raw si nasconda effettivamente un lavoro compositivo tutt’altro che banale: i riff presentano spesso delle variazioni che, sebbene minime, ne consentono la ripetizione ad libitum senza il rischio di annoiare l’ascoltatore; ogni traccia ne contiene al massimo quattro o cinque, che si susseguono senza quasi che ce ne si renda conto, una sorta di tappeto interrotto solo da qualche break, come accade a metà della prima traccia.
Ciò che mi ha stupito di più, al di là di tutto, è stata la presenza di copia-incolla: alcuni riff sono spezzettati in maniera irregolare, con cambi di tempo improvvisi e stravolgimenti chimerici nelle strutture. Le note iniziali vengono talvolta riproposte a metà riff, per poi terminare repentinamente su quelle finali, mentre il sottofondo di batteria rimane costante, dando l’impressione che non ci sia stato alcun taglio né cambio di tempo.
Menzione a parte meritano poi i testi, che, con mio grande stupore, non hanno alcun nesso apparente con la storia o le tradizioni dell’isola siciliana, pur riportando alla mente immagini di sfingi, montagne, vascelli che potrebbero rimandare alle antiche civiltà che vi regnarono. Estremamente brevi e minimali, restano enigmatici e di difficile interpretazione, per quanto sembrino descrivere spesso dei paesaggi e avere il concetto di viaggio (interiore ed esteriore) in comune.
I Gadir sono riusciti, al loro esordio, a creare una piccola perla per gli appassionati del black metal più minimalista ed enigmatico: le quattro tracce si susseguono quasi senza rendersene conto, trasportando l’ascoltatore in paesaggi remoti come quelli dell’isola da cui provengono, dai quali si vorrebbe tornare alla realtà soltanto per premere un’altra volta il tasto play.