GOATCRAFT – All For Naught | Aristocrazia Webzine

GOATCRAFT – All For Naught

 
Gruppo: Goatcraft
Titolo:  All For Naught
Anno: 2013
Provenienza:   U.S.A.
Etichetta: Forbidden Records
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TRACKLIST

  1. Call Me Judas
  2. Infinite Death
  3. Journey To The Depths
  4. Goat Will Riot
  5. Gate I
  6. Isolation Ripens
  7. Vestibule To The Abyss
  8. Laconism Of The Cosmos
  9. Gate II
  10. Everything Will Die
  11. The Rape Of Europa
  12. Consciousness Is A Disease
  13. [traccia nascosta]
DURATA: 50:22
 

Non mi era sinora capitato d'imbattermi nel progetto Goatcraft, del resto la creatura dello statunitense Lonegoat è di recente formazione (2010), con un paio di demo cd-r all'attivo, ma è questo "All For Naught", debutto targato Forbidden Records, a far sì che il suono necroclassical mi giunga all'orecchio. Proprio così, necroclassical è il termine coniato dal texano per descrivere la sua musica: l'immaginario iconografico e gli scenari riconducono al mondo black metal, però le note e l'impostazione scevra da ogni pulsione generata dal trio chitarra-basso-batteria, sostituito integralmente dal pianoforte e dalle tastiere, rendono imperante il verbo della scena dark ambient neoclassica.

È un panorama seducente, nero lucente e in bilico tra il gotico decadente, l'orrifico e l'obliante, nel quale il minimalismo è all'ordine del giorno e in cui l'artista in qualche occasione tende a essere leggermente pretenzioso, infilando in pezzi dalla durata contenuta quel passaggio che sembra essere in più; è anche vero però che le canzoni, pur pretendendo, riescono ad ammaliare. In "All For Naught" è il fascino disturbante della solitudine a regnare, come se si fosse chiusi in una stanza dalla quale non si può e non si vuole scappare, con le azioni compiute e da compiere a ossessionare la nostra mente, i pensieri di un passato che continua a essere attuale. Lonegoat lo dice chiaramente: "Consciousness Is A Disease"; e più ci si addentra nel ricercarne il dettaglio che la riveli, più si corre il rischio di subirne le reazioni contrastanti.

I brani scorrono uno dietro l'altro, lasciando una scia emotiva intensa, ma di colorazione perennemente grigia che s'infittisce sino a divenire nera nei frangenti in cui l'atmosfera si elettrizza a causa di scansioni umorali nevrotiche, o in alternativa s'incupisce, chiudendosi a riccio e quasi spegnendosi, riducendo il tutto a un bisbiglio tetro e inquietante.

Che i Goatcraft possano diventare quindi una delle vostre colonne sonore preferite? Beh, se in genere siete immersi in questo tipo d'ascolti, provarli non guasterebbe, non è detto che non possa capitarvi.