GOLIATHAN – XLVII
Gruppo: | Goliathan |
Titolo: | XLVII |
Anno: | 2016 |
Provenienza: | Italia |
Etichetta: | Autoprodotto |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 31:22 |
Lorenzo Sanseverino e io non ci siamo mai incontrati, nonostante le brevi chiacchierate su Facebook avute negli ultimi anni e il fatto che lui sia di Napoli e io abbia iniziato e finito l'università lì. Oggi però ho l'occasione di sentir parlare lui e la sua band, i Goliathan, quindi diciamo che in un certo senso mi metto in pari. Tornare nel capoluogo partenopeo, poi, è sempre un piacere, anche se solo virtualmente.
Dicevamo, i Goliathan. La band ha appena un anno di vita e già un EP sulle spalle, intitolato "XLVII", ovvero "47", numero che secondo la smorfia napoletana rappresenta «il morto, il cadavere». Viene da sé che qui stiamo parlando di un lavoro oscuro e pesante, e infatti le influenze principali di questi quattro ragazzi — oltre a Lorenzo alla chitarra, abbiamo Pasquale De Micco al basso e voce, Alfonso De Crescenzo alla chitarra e Guglielmo Allegro alla batteria — sono Cough, Pallbearer, Windhand, Electric Wizard e il doom-sludge che li accomuna tutti, anche se ho avuto modo di riscontrare vaghe influenze post-metal negli assoli.
L'EP si apre con "Descendant", un vero e proprio inno alla misantropia (per dirlo con le parole della band) i cui protagonisti sono i discendenti attuali della razza umana, costretti a fare i conti e a vivere con ciò che le generazioni precedenti hanno distrutto/lasciato. Un inizio incisivo, duro e distorto che prosegue in maniera più che convincente e contornato da un bel lavoro di corde vocali; il primo assolo invece lo trovo leggermente dissonante, ma devo ammettere che funziona meglio di quanto pensassi. Pollice su per gli effetti finali. Proseguiamo con la titletrack, il numero maledetto, introdotto da un essenziale connubio di basso, piatti e voce in evidenza, mentre le chitarre restano marginali ma irrompono prepotentemente poco dopo. La parte vocale alterna continuamente sezioni rozze e sporche ad altre più cantate in una continua altalena di suoni e grezzume; la chitarra solista, dal canto suo, fa un ottimo lavoro.
"The Plague" trae ispirazione dal Cimitero Delle Fontanelle, un ossario che raccoglie i resti di tutti gli sfortunati che perirono a causa delle epidemie di peste (nel '600) e colera ('800). L'intro è in effetti molto simile a quella del brano precedente, con la differenza che stavolta le chitarre si impongono fin dall'inizio con melodie solenni, che pare vogliano rendere omaggio alle vittime innocenti di un Male così grande da non poter essere contrastato. Chiaramente stiamo parlando di un gruppo doom-sludge, quindi sappiamo bene che la calma e le distorsioni contenute non possono durare a lungo, però devo dire che quella parvenza di sacralità e rispetto continuo ad avvertirla anche nei minuti successivi. Chiude l'EP il brano "Cradle Of Insanity", il più lungo tra i quattro, ispirato all'eruzione che distrusse Pompei nel 79 d.C. Particolarmente degne di nota le semplici ma efficaci melodie della chitarra solista, nonostante qualche piccola sbavatura. A metà incontriamo un'accelerazione improvvisa, seguita prima da un breve passaggio strumentale meno violento e, subito dopo, da un impeto che può ricordare quello del Vesuvio in attività. O almeno credo che sia così, non ho mai assistito a una sua eruzione e non mi intriga particolarmente fare la fine di Plinio il Vecchio. Una lunga sezione strumentale ci accompagna fino alla fine; poi, il silenzio.
Un bel primo passo per i Goliathan, emergente realtà partenopea che riversa Napoli e la sua storia nei propri brani. "XLVII" è maturo, nonostante alcuni piccoli dettagli da curare maggiormente, ma si tratta di piccolezze. Mi farebbe piacere vedervi prima o poi anche dal vivo, quindi continuate a suonare in giro e a procurarvi date. In bocca al lupo!