Heáfodbán - Heáfodbán | Aristocrazia Webzine

HEÁFODBÁN – Heáfodbán

Gruppo: Heáfodbán
Titolo: Heáfodbán
Anno: 2023
Provenienza: USA
Etichetta: Northern Doom Records
Contatti: Bandcamp Spotify
TRACKLIST

  1. Dead In Place
  2. Urine Sun
  3. Scalp Altar
  4. Incinerated Shape
  5. Eviscerate Upon The Pleading
  6. Hollow Fingers
DURATA: 31:40

Urla ferine che scaturiscono dal più fitto underground americano, un trio che in appena due anni di attività ha già plasmato una propria identità sonica unica ed efficacissima. Un connubio di caos ed echi ritualistici che trova nel war metal e nel black metal più oltranzista le sue fondamenta, arricchito da infiorettature folk le cui atmosfere donano sacralità al massacro su cui si trovano ad aleggiare. Tale premessa inquadra già l’album di debutto degli Heáfodbán come una delle uscite più peculiari e autentiche del 2023. Il gruppo statunitense, formatosi nel 2021, aveva già attirato discrete attenzioni con l’EP dello scorso anno Bealusorg, in cui si ergevano con ancor più vigore le atmosfere epiche di un pagan black metal old school dalle sonorità gelide e registrate con un minimalismo spettrale.

Con l’album di debutto le atmosfere si fanno ancora più oscure e profonde, senza rinnegare la furia war metal che già aleggiava nel precedente lavoro. A bombardamenti di batteria metallica e martellante, seguiti a ruota da un cantato secco e glaciale, si alternano canti gutturali e tribaleggianti, irruzioni di melodie tombali che sfruttano i suoni squillanti dei flauti e spezzoni ritmici più cadenzati per creare scenari sospesi tra eccidio e ascesi. I brani di Heáfodbán sono inoltre ben strutturati e si attestano fra i due minuti e mezzo e i nove di durata, evitando di cadere nel caos informe e monolitico che per antonomasia caratterizza il war metal e le derive più estreme del black. All’interno di tracce quali “Urine Sun” si alternano parti centrali di riff sega-ossa e batteria schiacciasassi con aperture atmosferiche colme di gelida oscurità, che spezzano l’ascolto dando profondità e mordente. Anche la breve successiva “Scrap Altar” cela al proprio interno diverse soluzioni compositive azzeccate, come le sinistre campane che riecheggiano in sottofondo nella parte iniziale e il pathos irresistibile delle chitarre, che nel finale si esibiscono in assoli sferzanti come vortici di ghiaccio, fino a spegnersi nei secondi conclusivi, presieduti da voci distanti ed enigmatiche.

Questa varietà compositiva raramente si ritrova in un disco che prende a piene mani dal devastante sound war metal, tale profondità si riscontra sia sul piano canoro (soprattutto su “Incinerated Shape”, dove si alternano scream, growl e cori) che strumentale. Il segreto dell’efficacia della formula degli Heáfodbán sta nel fatto che — seppur inserendo con ben calibrate proporzioni sonorità peculiari del folk e del viking — il nocciolo fondamentale del sound non rinnega mai il massacro indiscriminato. Le chitarre sono gelide, veloci e sferzanti, la batteria detta ritmiche infernali e le voci non fanno che trascinare sempre più a fondo in questo rituale alimentato da sangue e ossa. Trenta minuti abbondanti di devastazione sublimati nella conclusiva “Hollow Fingers”, che purifica l’atmosfera putrescente concedendosi completamente a sonorità eteree e struggenti.

Morte e purificazione, sacralità e violenza selvaggia sono i concetti e le immagini che saltano alla mente concluso l’ascolto di Heáfodbán, inevitabili e coerenti con un lavoro che mette sul piatto idee e suoni devastanti, impacchettati con perizia ed estro compositivo.