Heartache - Apate/Dolos | Aristocrazia Webzine

HEARTACHE – Apate/Dolos

Gruppo: Heartache
Titolo: Apate/Dolos
Anno: 2021
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
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TRACKLIST

  1. Liquid Skin
  2. The Sinner
  3. Talk To My Soul
  4. Erasing Time
  5. Numbers
  6. Mystic Den
  7. Led Astray
  8. Faces
DURATA: 43:40

Forse il nome Heartache non ti dirà molto, eppure il quintetto romano è un esponente piuttosto interessante del panorama underground progressive italiano. Dai tempi del primo EP, l’emozionante Apophis (datato 2012), il mondo è cambiato ed è cambiata anche la band. Ma non il suo spirito. La musica proposta durante tutta la carriera, iniziata addirittura nel 2008, è un prog che si colloca perfettamente a metà strada tra rock e metal, percorso da struggenti vene melodiche e magniloquenti afflati epici, senza disdegnare anche qualche ammiccamento pop.

L’accoppiata di EP fratelli composta da Apate e Dolos, pubblicata nel 2021 e in un primo momento destinata alla sola distribuzione fisica, è giunta ben cinque anni dopo l’unico album Skyscrapers And Firefalls. Pur trattandosi di due opere distinte, vivono in simbiosi e già i titoli vogliono suggerire una connessione. Secondo la mitologia greca, Apate è la divinità dell’inganno, figlia della Notte e di Erebo, nonché uno degli spiriti contenuti nel vaso di Pandora; Dolos invece ne è la controparte maschile, figlio della Terra e di Etere (secondo Caio Giulio Igino, mentre Cicerone lo rende fratello di Apate). Leggende e miti ellenici tornano così a ricoprire un ruolo fondamentale nel lavoro degli Heartache, come già fu per il summenzionato debutto. Se allora però la musica era struggente e dolorosa (ad esempio la stupenda “Opportunity”), ora si fa più cupa in Apate e più mistica in Dolos.

Ascoltando i due mini album ci si accorge di come la composizione dei brani si sia fatta più matura rispetto al passato. Si può notare inoltre un certo debito verso una band come gli Haken (impossibile non ripensare ad alcuni momenti di Aquarius durante “Erasing Time”), senza però divenirne semplici imitatori. Apate offre musica introspettiva che si snoda attraverso quattro brani. La tecnica messa in mostra è buona e le idee sono interessanti, tuttavia manca il colpo di scena, quel momento spiazzante in grado di rendere l’opera qualcosa in più di un buon lavoro. Apice di questo primo EP è sicuramente la poliedrica “Talk To My Soul”, il pezzo dalla maggiore impronta progressiva, non solo per la durata più corposa (circa sette minuti): nel brano infatti è possibile quasi individuare movimenti differenti, come fosse una suite compressa in cui ogni parte suona ben distinta dalle altre, ma perfettamente inserita in una struttura organica.

Mentre Apate lascia qualche perplessità, specialmente per via di una certa ridondanza (come in “The Sinner”), Dolos risulta più interessante. Sin dal primo brano, “Numbers”, si percepisce che il quartetto capitolino viaggia con una marcia in più. Il brano è una ottima dimostrazione di heavy-prog che non disprezza momenti catchy, come la linea di chitarra melodica e orecchiabile che irrompe intorno al quarto minuto. In questo pezzo, come anche in altri momenti disseminati qua e là nel corso della scaletta, è più marcata l’influenza dei Dream Theater, specialmente quelli degli ultimi lavori. Ancora più pesante è la successiva “Mystic Den”, che si apre con una chitarra massiccia, per poi lasciare spazio alla coppia ritmica di basso (Emiliano Venanzini) e batteria (Alessandro Giordano), vere colonne portanti della canzone. Come i primi due pezzi, “Led Astray” prosegue il percorso di incupimento sonoro di Dolos: il suono della chitarra di Matteo Palladini è rotondo e roccioso, mentre la tastiera affidata ad Alessandro Ippoliti contribuisce a infondere drammaticità al pezzo, offrendo inoltre un solo nella seconda metà gradevole ma privo di personalità e troppo simile a mille altri sentiti in passato. La conclusione del secondo EP è infine affidata a “Faces”, più distesa dei tre pezzi precedenti e dotata di un’aura eterea e sognante che ricorda i Portal — non quelli del signor Curator, ma il progetto parallelo ai Cynic che ci ha donato solo quella sublime meraviglia di The Portal Tapes.

L’accoppiata Apate/Dolos, in conclusione, si rivela interessante per gli appassionati di progressive, senza tuttavia donare alcuno spunto innovativo o stupefacente. Si tratta di musica molto ben suonata e altrettanto ben composta, che però non strega l’orecchio più navigato. Il vero limite dei due EP ha tuttavia un nome e un cognome: quelli del cantante Luca Aldisio, la cui performance risulta piuttosto monotona e spenta, non al livello di quanto fatto dai tre colleghi. Un buon lavoro dunque per gli Heartache, ma non ottimo.