HELLCOME! – Good Friends, Bad Company
Quando alle medie ci portarono in gita alle cartiere di Fabriano, non avrei mai immaginato che, a circa quindici anni di distanza dal giorno in cui appresi i segreti della produzione della carta, avrei posato nuovamente gli occhi sul nome di questa cittadina marchigiana di circa 31mila abitanti, fra l’altro recensendo quello che potrebbe tranquillamente essere in lizza per la palma (o meglio il luppolo) d’oro di disco dal tasso alcolemico più elevato di questo 2020. Tralasciando questa parentesi sulla mia triste pre-adolescenza, in cui Good Friends, Bad Company ha rivestito un po’ il ruolo della madeleine proustiana, vado subito al sodo dicendo che questo concentrato di furia alcolica e adrenalina rappresenta l’album di debutto degli Hellcome!, una formazione che, pur provenendo dal suolo italico, potrebbe tranquillamente essere bollata come poco italiana dal buon Stanis La Rochelle della sitcom Boris.
In effetti, basta dare un ascolto a Good Friends, Bad Company per essere investiti dalla fusione tra groove, thrash e una ruvida attitudine rock’n’roll à la Motörhead, tutti elementi che rendono il disco una colonna sonora del tutto apprezzabile per i momenti in cui, magari, si vuole abbandonare l’introspezione malinconica e seguire il proprio lato più scanzonato. I fautori di questa miscela sonora ad alto tasso alcolico sono Sauro Mori e Marco Monacelli alla chitarra (quest’ultimo è anche la voce degli Hellcome!), Alessio Monacelli alla batteria e Matteo Carovana al basso.
Good Friends, Bad Company parte con convinzione proprio dalla title track, in cui la veemenza dei generi sopra citati si fa sentire subito, senza mezzi termini. Proseguendo con le tracce successive, quest’attitudine energetica continua a farsi sentire in modo molto incalzante e in alcuni casi quasi liberatorio, come si percepisce da “Revenge”, che mi ha fatto pensare a una versione più pesante e arrabbiata dei Volbeat. Questo non significa, però, che i brani dell’album finiscano per assomigliarsi tutti o risultare poco personali; al contrario, per tutta la durata del disco, gli Hellcome! dimostrano di saper dare una veste moderna e personale a generi che non sono esattamente nuovissimi, aggiungendo anche una giusta dose di ironia.
I nove pezzi che compongono la scaletta vengono spillati dai Nostri come una birra corroborante, ma a mio parere è nella seconda parte che troviamo quelli più succosi e interessanti. Tra questi, ho apprezzato in particolar modo “Can You Feel My Hate?”, che si conclude con un finale più lento, pesante e cadenzato, creando una sensazione che definirei di relativo intorpidimento, soprattutto se paragonato all’andamento martellante della parte precedente. Cito anche “Until See Snakes”, dove appare una vena rockabilly che, nonostante possa giungere in maniera inaspettata, contribuisce a dare ulteriore movimento al pezzo. Meritano una menzione d’onore infine “Life Parade”, che ha un intro melodico molto apprezzabile e sembra costituire una di quelle riflessioni sulla vita che spesso scaturiscono dall’ingestione di quantità non indifferenti di luppolo o altre fonti alcoliche («This carnival is one of a kind / […] Mask without breath and without eyes / Maybe there’s nothing left behind»), e “Liver”, pezzo molto ritmato dedicato al fegato che — a ben pensarci — è il vero compagno di bevute interiore dell’essere umano.
Tirando le somme, Good Friends, Bad Company rende pienamente giustizia all’etichetta di thrash’n’roll con cui gli Hellcome! descrivono il proprio sound sulle pagine social, ma è anche un debutto interessante che ci presenta una band in forma, con il giusto mordente e una spiccata capacità di trasmettere pienamente la sua carica a chi ascolta.