HERETOIR – Wastelands
L’amante del blackgaze avrà avuto l’uscita di questo disco appuntata sul calendario sin dal suo annuncio. A sei anni dalla pubblicazione di quella gemma che porta il nome di The Circle, gli Heretoir di Eklatanz sono tornati più carichi e brillanti che mai. Così, lo scorso 19 maggio, AOP ha dato alle stampe Wastelands.
Con una scaletta di sei brani, la novità discografica dei tedeschi potrebbe trarre in inganno chi, avendone perso le tracce, si approcciasse aspettandosi un nuovo album. La band lo chiama mini, io preferisco EP, ma la verità è che Wastelands per molti versi non è né carne né pesce — e non nel senso di alternativa alla carne che un mangiapiante come il sottoscritto potrebbe preferire. L’ultima fatica dei redivivi Heretoir, infatti, è composta da quasi mezz’ora esatta di musica: la prima metà (rappresentata da “Anima”, “At Dusk” e “Wastelands”) ci dà un’idea di chi sia e cosa abbia da dire oggi la band; la seconda, nel bene e nel male, non ci offre niente di più di tre brani ri-registrati dal vivo.
Quello che Wastelands porta di nuovo è una rinnovata luce di speranza nel cuore di chi ha la passione per il mix tra black metal e shoegaze, inserendosi lungo un tracciato di alcestiana memoria. Ad aver messo la propria firma sull’EP, assieme al titolare del progetto David Conrad, ci sono Kevin Storm (Vulture Industries) e Max F. (ex Thränenkind e King Apathy) alle chitarre, Matthias “Nathanael” (ex Agrypnie e responsabile di Bonjour Tristesse) al basso e l’emissario della sofferenza Nils Groth alla batteria. Per il secondo brano del lotto, tra l’altro, Eklatanz ha scelto di tornare a lavorare con una vecchia conoscenza: la voce femminile con cui, nell’estate precedente all’emergenza pandemica, aveva registrato una cover acustica di “Golden Dust”. È l’australiana Emily Highfield di Suldusk che sentiamo volteggiare sulle trame vellutate di “At Dusk”, con quel fare etereo à la Aleah che a ogni nota aggiunge sale su ferite sempre aperte.
Nella sua interezza, la parte di vera novità di Wastelands ci riporta al passato più splendido dei tedeschi. Gli intarsi di chitarra sono cesellati come canone prescrive, ma forti della consueta e inimitabile ispirazione del progetto. Eklatanz torna a far sognare gli appassionati di Heretoir e ci riesce fin da subito. Ad “Anima” basta pochissimo, qualche riff di atmosfera che poi si apre in una esplosione di riverberi e distorsioni mid-tempo che mi accende un sorriso in volto a ogni ascolto. Il botta e risposta tra Eklatanz e miss Suldusk è superbo, ammaliante: perfetto per la splendida costruzione strumentale dei compagni di brigata. È alla title track, però, che gli Heretoir affidano la loro anima più oscura: “Wastelands” è violenta, ferale, straniante eppure familiare. Merito dell’ottima riuscita della prima metà dell’EP va anche alla produzione di Nikita Kamprad — per chi non lo conoscesse, il padre fondatore dei Der Weg Einer Freiheit.
Se hai letto fin qui, però, avrai capito che Wastelands mi ha lasciato l’amaro in bocca e, se hai prestato attenzione, avrai anche colto che il problema non riguarda la presunta riproposizione come fotocopia di sé stessi o la mancanza di ispirazione. Il più grande dispiacere che il nuovo EP degli Heretoir mi ha regalato è il fatto che è troppo breve e, nella sua mezz’ora di durata, ci offre solo quindici minuti di novità: il resto, per quanto registrato dal vivo, nonostante si tratti di tre brani ripresi da quel capolavoro di The Circle (“Golden Dust”, “Exhale” e “The White”) — e quindi intrinsecamente fantastico — non è abbastanza. Ci avete dato un nuovo assaggio di droga, purissima e dritta in endovena, illudendoci ci fosse di più, e invece non era abbastanza. Vogliamo il resto: muovetevi a cacciare fuori un album intero, maledetti.