HØSTSOL – Länge Leve Döden
«Aspettati black metal come si sentiva negli anni ’90 e gioisci». Così, nella dichiarazione allegata su Bandcamp, gli Høstsol anticipano all’ascoltatore il contenuto del loro debutto Länge Leve Döden (svedese per long live Death, evviva la Morte). E attenzione, signore e signori: la parola è mantenuta.
Non commettiamo l’errore di pensare in piccolo e diciamo le cose come stanno: Høstsol può facilmente essere definito un supergruppo black. Tra le sue fila, infatti, si annoverano il figlio prediletto di Halmstad, Niklas Kvarforth (Shining), Cernunnus di Manes e Syning, Rainer Tuomikanto degli Ajattara e l’ex membro dei Barathrum ora collega di Raikku negli Ajattara, Kalmos. Un pedigree di partenza che comunica fin da subito due cose a chi si approccia alla band. Primo, ad aver registrato Länge Leve Döden non sono stati quattro sprovveduti. Secondo, in considerazione dei trascorsi dei musicisti coinvolti, quest’album non può suonare più moderno di un tot.
Melodico e raffinato, ma mai posticcio e plasticoso, Länge Leve Döden offre realmente all’ascoltatore una possibilità concreta di fare un tuffo nel passato. Al netto dell’ottima produzione firmata dal chitarrista del Re Diamante, Andy LaRocque, che fa sì che ogni traccia non perda la sua bellezza grezza pur avendone smussato qualche spigolosità di troppo, il debutto degli Høstsol conserva un tasso di ferale semplicità davvero invidiabile. Il songwriting di Cernunnus è ispirato e lo si sente da capo a coda della scaletta: il riffing è malefico e caprino, le melodie puzzano di zolfo da chilometri di distanza. La collaborazione di tutti, però, eleva le idee — già di per sé ottime — a un livello superiore.
“Det Som En Gång Var (Det Kommer Aldrig Igen)” è un ottimo esempio delle ottime qualità degli Høstsol. Al suo interno, le mille circonvoluzioni compositive di Cernunnus si susseguono senza risultare spezzoni a sé stanti incollati l’uno all’altro, amalgamate e rese ancora più coerenti da un Raikku violento e forsennato dietro le pelli. Il basso è roccioso, granitico, e pesta come tutti i bassisti vorrebbero sentire un basso pestare su un album black, ed è su queste basi che la voce di Kvarforth assesta il colpo di grazia. Smaliziato, peccaminoso ed efferato, il signor Shining resta teatrale dal primo all’ultimo secondo, declamando la sua poesia mortifera tra urla di delizia e sofferenza. Ora, prendi questo e immaginalo moltiplicato per cinque.
Talvolta progetti come questo, in cui gente con un certo nome si riunisce per fare musica insieme, non sono altro che facciate, macchine da soldi costruite a tavolino con idee belle e ben eseguite, ma povere di contenuto. Høstsol non ha nulla a che spartire con quella categoria di supergruppi. Anche nelle aperture alla modernità — se vogliamo considerare certe sezioni di “Länge Leve Den Ansiktslöse Mördaren”, ad esempio, più moderne del resto dell’album — Länge Leve Döden è un disco sincero e genuino, che coniuga sapientemente forma e sostanza senza sbilanciarsi su un fronte né sull’altro. Un omaggio al passato in una veste squisitamente rifinita che certe produzioni di fine secolo scorso, per ovvi motivi, non potevano sognarsi: dire che l’acquisto è obbligatorio per chi ama il black, a questo punto, mi pare quasi un insulto.