HYRGAL – Hyrgal
Terzo fatidico disco per gli Hyrgal, cugini d’Oltralpe guidati da Clement Flandrois e diventati ormai quartetto, che un po’ accompagnano la mia avventura su Aristocrazia più o meno dall’inizio: Serpentine è arrivato nel 2017, Fin De Règne due anni fa. Ad aggiungere peso, la decisione di far uscire un album che porta il nome stesso del gruppo: il rischio, almeno secondo il sottoscritto, è di lasciare un ricordo netto nel caso si riveli un passo falso, più di altre opere poco riuscite ma con titoli normali.
Hyrgal per fortuna non rientra in questa casistica: fedeli a LADLO, con l’entrata di Rémi Serafino alla batteria (anche lui ex Svart Crown come Flandrois) e di un secondo chitarrista, Mathias Nagy, i transalpini incidono l’album che probabilmente li rappresenta al meglio, continuando decisi sul sentiero tracciato in precedenza e irrobustendo ancora di più, se possibile, il black metal moderno di cui ormai la Francia è importantissima esportatrice.
Ci troviamo in un territorio molto caro al territorio transalpino degli ultimi dieci o quindici anni, un black moderno e possente con un retrogusto dissonante sempre presente ma per nulla invasivo negli Hyrgal. Sette tracce — come ormai da tradizione — che non conoscono cali di tensione, se non qualche difetto di forma trascurabile (i.e. il mix secondo me non ottimale di “Serment De Sang”) e che catturano l’attenzione con un sapiente mix di assalti spietati, momenti più cadenzati sorretti da solidi riff e un senso della melodia per nulla scontato, spesso convogliato in ottimi assoli.
Uno di quei pochi casi in cui è impossibile segnalare episodi salienti, e non se ne sente neanche il bisogno: c’è tanta qualità in Hyrgal ed è distribuita in maniera ineccepibile, così come è distribuita la varietà compositiva, nonostante già dopo pochi ascolti le canzoni trovino una propria riconoscibilità, come “Lègende Noire” con il suo incipit martellante o la furiosa — nomen omen — “Fureur Funeste”, che con “Au Goffre” chiude il disco su livelli molto alti.
Sugli Hyrgal avevo già speso ottime parole ai tempi di Serpentine, vale a dire nel momento in cui C.F. riprese in mano il progetto e ancora prima della firma con LADLO. Da allora non c’è stato uno sguardo al passato e, dopo sette anni, mi sento di dire che è arrivata una sorta di consacrazione, la prova che il quartetto non è più soltanto un’entità da tenere d’occhio, ma un protagonista a tutti gli effetti nel proprio genere.