IN HUMAN FORM – III
Gruppo: | In Human Form |
Titolo: | III |
Anno: | 2019 |
Provenienza: | USA |
Etichetta: | I, Voidhanger Records |
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TRACKLIST
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DURATA: | 47:09 |
Che bello ritrovare gli In Human Form ancora su I, Voidhanger Records e in un simile stato di grazia. Su III il gruppo del Massachusetts si è allargato, dopo la pubblicazione del mastodontico Opening Of The Eye By The Death Of The I, e adesso comprende anche la seconda chitarra di Dave Kaminsky (già in forze ai cugini Infera Bruo per i concerti dal vivo) e il basso puntuale di Shalin Sha (con un background post- ma anche pagan-folk, se consideriamo i Noltem).
Il cambio da terzetto a quintetto si fa sentire, sia in termini di potenza propulsiva che di eclettismo musicale. In generale, l’impressione è che gli IHF abbiamo trovato un proprio equilibrio geometrico, senza imbrigliare la vivace creatività che li ha fin qui contraddistinti. Quella sorta di uomo vitruviano bendato che figura nell’originale copertina firmata Kishor Haulenbeek rappresenta la sintesi delle forze che animano la musica di III, in equilibrio perfetto fra il black metal più moderno e massiccio — miracolosamente privo di dissonanze modaiole — e il progressive, con passaggi e atmosfere che arrivano dritti dagli anni ’70. I suoni sono più corposi rispetto all’ultima prova in studio di qualche anno fa e la produzione, in particolare la masterizzazione, risultano finalmente professionali in tutto e per tutto; uno dei limiti del precedente Opening Of The Eye… era esattamente il suono esile, quasi smunto, troppo essenziale per sprigionare l’istrionismo compositivo di Clark e Dupras.
“Apocrypha Carrion” coi suoi quasi diciotto minuti apre l’ascolto di un album non semplice, ma che regala grandi, enormi soddisfazioni ai metallari più smaliziati. Il concept di III riguarda ancora una volta l’autocoscienza e il lavoro che ognuno di noi fa su se stesso per superare i propri limiti, per sgretolare paure e dominare l’ansia della morte; gli IHF sono degli umanisti fino al midollo e credono strenuamente nella forza e nelle potenzialità dell’individuo. Tra le pieghe di questa musica si intravede lo spettro degli ultimi Emperor e dell’Ihsahn solista, perché c’è una cura maniacale per i dettagli e le sfumature, un’inclinazione naturale per il drammatico e perfino dei riferimenti alla mitologia greca, un bacino tematico al quale solo i più preparati riescono ad attingere senza sembrare ingessati. “Weeping Stones” è nientemeno che un’invocazione a Medusa, affinché rivolga verso di noi il suo sguardo e ci trasformi in pietra; una sfida decisiva contro un’entità immortale raccontata con l’utilizzo magistrale di tastiere e sassofoni (al sax alto di Clark si aggiungono il baritono e il tenore di Evan Crandell) per un risultato che, con gli intrecci di basso e chitarra e un lavoro sapiente di batteria, ricorda molto e non poco i Gordian Knot del compianto Sean Reinert. A chiudere questo terzetto delle meraviglie ci pensa “Canonical Detritus” — che a dispetto del titolo di canonico ha molto poco — con ventuno minuti di grandi riff; perché dietro III c’è soprattutto una grande attenzione per le trame chitarristiche, stiamo pur sempre parlando di un disco metal. Il viaggio dentro l’io e al di fuori dell’io si fa via via più drammatico e magniloquente, in un crescendo epico di melodie meravigliose e sassofoni che volteggiano nello spazio disegnando vortici di luce insieme alle chitarre.
Non ho problemi a definire III uno dei dischi più grossi mai pubblicati dalla I, Voidhanger; senza alcun dubbio fin qui la prova migliore degli In Human Form, una delle compagini più mature fra quelle che hanno costellato l’universo del black d’avanguardia in questi ultimi anni. Album pazzesco.