ISGHERURD MORTH – Hellrduk
Bizzarra creatura gli Isgherurd Morth, un po’ come quella che figura nella altrettanto improbabile copertina, appesa a una croce coricata. Per due terzi siberiani di Krasnojarsk e per un terzo francesi della Costa Azzurra, questi signori non arrivano dal nulla, avendo all’attivo più di qualche progetto interessante: Romain Goulon, neoacquisto pure dei nostrani Sadist, ha con un curriculum più lungo della Transiberiana e ha giocato nei Necrophagist, Pitom (Peter Shallmin, che nella vita di tutti i giorni fa lo chef) e Res (Max Kostantinov) hanno suonato di tutto un po’, dalla bossa nova al soul. Nel 2016 succede che si incontrano per dare vita a un EP fuori di testa, Stench Price, a base di grindcore e collezionando contributi da mezzo mondo, tra cui quelli di Dave Ingram (Benediction), Dan Lilker (Anthrax, Nuclear Assault) e lo stesso Romain Goulon. La genesi di Helldurk risale proprio a quell’anno, periodo giusto per mettere su disco quanta più carne al fuoco possibile.
Se l’attività di registrazione è stata svolta nel giro di pochi giorni, quella di missaggio e masterizzazione ha richiesto più tempo. La scelta di rendere intellegibile ogni singolo strumento, senza aggiungere effetti o gabole da studio e quindi mantenendo il mix quanto più pulito possibile, si è rivelata però un’arma a doppio taglio per Hellrduk. Se da un lato c’è l’effetto straniante di trovarsi di fronte un album così limpido ma con l’ambizione di essere black metal, dall’altro c’è un’opera che vorrebbe essere black metal ma suona più asciutta di un disco fusion amatoriale.
Gli Isgherurd Morth non fanno musica brutta, tutt’altro, e propongono un’interessante miscela di black metal moderno e tech death americano (dai Cynic agli Atheist, ma passando anche per i Voivod). Ci sono bei fraseggi, un bel gioco di improvvisazione in una trama di strumenti che però è davvero troppo facile da leggere, per un risultato che potremmo riassumere in musica difficile for dummies. A fare le spese di questa scelta un po’ suicida sono la chitarra di Res, complessivamente deboluccia, e la voce di Pitom, una specie di rantolo sgolato con cui puoi lavorare per qualche passaggio, non per costruirci un disco intero. Un vero peccato, perché le idee dietro brani tipo “Kultth Tormentr” o “Lucir Stormalah” sembrano giuste e l’amalgama fra i tre musicisti funziona assurdamente bene, ma tutto viene vanificato da un miope lavoro alla consolle, che toglie metri se non chilometri di profondità a questo Hellrduk.
Il linguaggio musicale non si limita a quello che si scrive sul pentagramma e a quanto si è capaci di improvvisare, passa per forza di cose attraverso dei passaggi, dei filtri necessari a sprigionare quanta più espressività possibile. Gli Isgherurd Morth, su Hellrduk, ne emanano poca, e mettono insieme un disco che può fungere da memento sull’importanza di certi aspetti tecnici del fare musica.