JORRVASKR – Blut Und Gold
Un accanito fan della serie The Elder Scrolls ed ex-giocatore seriale di Skyrim come il sottoscritto, trovandosi di fronte a un gruppo che prende il proprio nome dalla sala in cui si riuniscono i migliori guerrieri del gioco, rischia di fomentarsi peggio di un paladino che ha appena sconfitto un drago e trovarsi a correre per le strade della propria città urlando «Fus Ro Dah!» (una sorta di urlo magico che spazza via i nemici) nella speranza di far volare qualche auto di qua e di là, senza neanche aver ascoltato il gruppo in questione. Per fortuna, il briciolo di raziocinio che mi rimase dopo tale scoperta, solo ed errante nella mia scatola cranica come la famosa particella di sodio della pubblicità, mi frenò dal commettere il folle gesto senza aver prima ascoltato l’album d’esordio degli Jorrvaskr, pur essendo fortemente destabilizzato dal fomento causato dalla copertina rappresentante montagne innevate e aurore boreali.
Registrato nel 2019 nello studio austriaco Parkdeck Recording e inizialmente autoprodotto, poi rilasciato anche dalla Talheim Records in formato digitale, Blut Und Gold dura 31 minuti e contiene otto tracce, lo stretto necessario per non essere considerato un EP, di cui una intro e una outro. I testi ispirati alle leggende e tradizioni di Skyrim si traducono musicalmente in un death metal ispirato dalla scuola svedese, tutto riff a motosega, pedale HM-2 e growl da guerriero berserk, come Unleashed e Entombed insegnano.
Nessuno spazio per le melodie né per i virtuosismi: gli Jorrvaskr vanno dritti al sodo con sei tracce molto simili tra loro, costituite da composizioni semplici che alternano pochi riff, pochi breakdown e cambi di tempo (la maggior parte prevedibili e ripetuti), e qualche lead sporadico di qua e di là. I riff risultano scarsamente efficaci, essendo ripetuti ad libitum in varie declinazioni tutte affini tra loro, dando così un aspetto monotono musica degli austriaci, tra cui l’unico a distinguersi è il cantante, capace di passare da un growl estremamente profondo (a tratti similare a quello di Mikael Åkerfeldt in Blackwater Park) a un potente screaming. La produzione, dal suo canto, mette in risalto le chitarre, rivelandosi forse un po’ troppo asettica e moderna rispetto alla proposta degli Jorrvaskr, che pesca appieno dalla Stoccolma degli anni Novanta.
Purtroppo, Blut Und Gold appare poco convincente e troppo ripetitivo, e presenta dei chiari espedienti volti ad allungare il brodo, come l’inutile outro in cui il cantante si limita a imitare un grugnito porcino su un riff ripetuto per un minuto e mezzo. L’impressione finale che l’album di debutto degli Jorrvaskr mi ha dato è stata quella di un lavoro composto e arrangiato in breve tempo, senza troppa cura nei dettagli ma soprattutto con poca ispirazione.
Le auto del vicinato sono ancora una volta salve: che il prossimo disco sia quello giusto per farne volare qualcuna a colpi di «Fus Ro Dah!»?