JULINKO – Nèktar
Il terzo album è sempre un bel traguardo per ogni artista, lo è doppiamente se, come nel caso di Julinko, si arriva a incastonare la propria fatica tra i solchi di un disco in vinile. Nèktar viene infatti pubblicato da Toten Schwan Records nel formato più impegnativo di tutti, ornato da un artwork realizzato a quattro mani con L V N A (Marco Zanella a.k.a. Ankubu) e dal lavoro grafico di Alvise Guadanino. Giulia Parin Zecchin è cresciuta in tutti i sensi, e con lei la creatura musicale cui ha dato vita nel 2015 con la collaborazione di Carlo Veneziano, già attivo negli One Dimensional Man.
Nèktar, traslitterato dal greco νέκταρ, non è però un fluido che ci preserva dalla morte, bensì una bevanda i cui sorsi ci permettono di raggiungere una nuova dimensione di quest’ultima. Superata la parentesi ambient-eterea del mini-album ASH ARK (2018, Ghost City Collective), Julinko torna alla materia — e quindi alla forma canzone — col piglio psych-doom che aveva caratterizzato le precedenti prove in studio: voce ora lamentosa ora fatata, chitarre sghembe, batteria e percussioni essenziali. Uno stile un po’ primitivo e anche un po’ naïf che potrebbe far pensare, alla lontana, a un lavoro di Anna Von Hausswolff ma senza organo.
L’album sembra un vortice che turbina attorno a un senso di smarrimento e a una spasmodica ricerca di un sentiero verso la libertà e la luce: dalla nostalgica “Deadly Romance” alla lancinante “The Hunt”, passando per pezzi dal tiro notevole come “Venus’ Throat” e “Leonard”, Giulia e i suoi compagni (per l’occasione si è aggiunto Francesco Cescato al basso) ci tengono per mano lungo questo percorso a metà fra l’onirico e l’allucinatorio, nel quale trova spazio anche lo stacco unplugged di “Servo”. La luce non si fa acchiappare, la libertà non si fa raggiungere e la corsa si arresta di fronte a un lago senza fondo e, dopo “The Woods, The Wheel”, il cammino si interrompe; infine ci abbeveriamo alla fonte di “Nèktar” per cominciare un nuovo ciclo di sogni e visioni.