JUPITER & OKWESS – Na Kozonga
Di cose da dire a proposito di Na Kozonga ce ne sono tante, un’infinità probabilmente. Volendo partire da quelle evidenti, inizio col dire che la Repubblica Democratica del Congo, ma anche l’Africa in generale, non è un’area geografica che abbiamo trattato spesso qui su Aristocrazia, e che il nuovo lavoro di Jupiter & Okwess incarna un’interessante deviazione dalla regolare e massiccia narrazione che facciamo della musica del male.
Andiamo per gradi. Na Kozonga significa Sono tornato in lingua lingala, una delle lingue bantu parlate nella RDC ed è questo il titolo che Jupiter Bokondji, al secolo Jean-Pierre Bokondji (classe 1965), ha scelto per il terzo disco di quella che più che una band potremmo forse definire un collettivo. Figlio di un diplomatico congolese, Jupiter viene iniziato alla musica, nello specifico alle percussioni, nel suo paese d’origine ma si forma artisticamente in una Berlino ancora divisa dal Muro, in cui si trasferisce per via del lavoro del padre e in cui fonda la sua prima band. Tornato successivamente in patria, decide di creare un suo personalissimo mix di suoni che incorpori soluzioni europee e altre più ancorate alla sua terra d’origine, collaborando con diversi musicisti e creando diversi gruppi. Quello definitivo saranno gli Okwess, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Il primo disco, Hotel Univers, arriva comunque nel 2013, seguito tre anni più tardi da Kin Sonic, con Damon Albarn tra gli ospiti e che Obama inserirà nella sua playlist personale nel 2018. Riconoscimenti di un certo livello, bisogna ammetterlo.
Il progetto Jupiter & Okwess conta sei componenti ufficiali, ma basta buttare un occhio alle informazioni di Na Kozonga su Bandcamp per notare l’impressionante numero di artisti che hanno collaborato con la loro storia, le loro influenze e il loro talento. Si parte da Marcelo D2, rapper brasiliano, passando per la rapper e cantante franco-cilena Ana Tijoux, il musicista francese Yarol Poupaud, il chitarrista brasiliano Rogê, la cantante americana Maiya Sykes e — per non farci mancare nulla — la Preservation Hall Jazz Band di New Orleans. Un bel minestrone multietnico che rende Na Kozonga assolutamente unico nel suo genere, un disco in cui si mescolano culture, lingue (oltre alla citata lingua lingala fanno la loro comparsa inglese, francese, portoghese e spagnolo), stili e influenze.
Con tutto questo bel po’ po’ di roba non era assolutamente fattibile che bastasse un solo termine per definire lo stile musicale di Na Kozonga, la lista è lunga. Tendenzialmente Jupiter & Okwess propongono, di base, suoni profondamente radicati nella RDC, come kwassa kwassa e madiaba, entrambi nati come stili di danza, mescolati ad afropop e funk. In Na Kozonga compaiono anche rumba, samba ed elementi legati al rock più classico. Va detto che la band non si limita a sonorità proprie soltanto della RDC, ma include anche tasselli provenienti da altri stati africani.
Fatte le dovute considerazioni, non stupisce che ogni brano sia assolutamente a sé stante, vista la quantità di ospiti; in qualche modo sorprende piacevolmente invece scoprire che tutti i tasselli riescono a incastrarsi alla perfezione senza che si insinui nell’ascoltatore la sensazione che tutto ciò sia troppo. Jupiter & Okwess hanno un bagaglio di esperienze dal vivo enorme, essendosi esibiti praticamente in tutto il mondo, e quello che chiunque dedurrebbe successivamente all’ascolto di Na Kozonga è che per godersi appieno la quantità di etnicità che la band-collettivo ci scarica addosso sarebbe preferibile assistere a un concerto e mettere alla prova la propria capacità di restare fermi senza mettersi a ballare con il vicino. Per il momento possiamo accontentarci di assaporarli e/o scoprirli in studio, facendoci catapultare nei ritmi sfrenati di “Telejayi”, nel flow e nelle influenze latine di “You Sold Me A Dream” (una denuncia nei confronti dell’ineguaglianza con cui vengono trattati i migranti), nel tappeto di fiati che caratterizza “Abalegele Gale” e nella dolcezza jazz di “Bolingo (Ça Va Saravá)”.
Non ci capita spesso di trattare collettivi e generi musicali di questo tipo, per non parlare della provenienza geografica di Jupiter & Okwess, forse un po’ atipica per noi. Quando però ci si imbatte sulla propria strada in lavori così ricchi a livello tanto artistico quanto di esperienze umane, non ci si può che sentire piccolissimi in confronto alla vastità del mondo, senza scoprirsi affatto tristi per questo. Tutt’al più possiamo prenderlo come uno stimolo per ampliare le nostre vedute.