KEVEL – Mutatis Mutandis
Non capita tutti i giorni di imbattersi in lavori come Mutatis Mutandis dei greci Kevel, disco che recuperiamo tra le passate pubblicazioni di I, Voidhanger Records; una di quelle etichette che qualunque cosa peschi ci fai una zuppa coi fiocchi.
Gli ateniesi hanno fatto un bel salto di sei anni, rispetto al debutto, che si è tradotto anche in una notevole maturazione e in una rinnovata capacità di amalgamare influenze di spessore. Nella musica di Mutatis Mutandis, infatti, si sentono ancora lo sludge e il post-metal, ma fanno la loro comparsa pure sofisticati echi black e prog (la batteria di Thanasis Politis dice tutto).
“Of Being” parte letteralmente in sordina per crescere lentamente e trovare carattere: oscilla tra la stabilità instabile più math e la muscolarità post-, infilando riff obliqui e malaticci. Tematicamente Mutatis Mutandis è incentrato sul concetto di esistenza in senso lato e sull’eterna (?) parabola del genere umano, in costante conflitto con se stesso e con la Natura. “Terraforming” è una sorta di manifesto, musicale e testuale, dell’antropocene: contraddittorio, massiccio, riflessivo, senza speranza. La successiva “The Apophatic” parla della miope ricerca spirituale cui ci pieghiamo in quanto esseri incompleti; il nucleo centrale del pezzo è una bellissima spirale attorno alla quale si avvolge il drumming infaticabile di Thanasis.
Ricerca spirituale che indossa la maschera dell’esplorazione spaziale e dell’ascolto del cosmo in “Arecibo”, brano che mantiene inalterata la voglia dei Kevel di mettere tanta carne al fuoco e che a questo giro regala momenti tra lo space e lo psych. Non troppo dissimile lo svolgimento di “Cosmic Domination”, con un’aggiunta di chitarre più leggere a fare da contraltare per gli schiaffi del resto della canzone. Lo sludge spaziale apre invece “Utopia Planitia” e la sua desolazione cosmica, forse il momento in cui più di tutti ho sentito i Blut Aus Nord e il loro black metal istrionico.
Per concludere, Mutatis Mutandis è davvero un bell’ascolto: c’è cura per il dettaglio, c’è profondità concettuale e soprattutto una densità musicale che non stanca nemmeno un po’. Sentite ‘sti Kevel, ‘so greci, per citare il grande Mario Brega.