KHEPHRA – L’Arcano Del Mondo
Dopo il ritorno alla vita con Resurrection, datato 2010 e segnante la ripresa dei lavori fermi fin dagli anni ’90, i Khephra, dall’hinterland varesotto, non danno la minima impressione di volersi fermare. L’Arcano Del Mondo continua lungo la linea dettata dal fermo, fermissimo credo dei quattro musicisti: black metal cattivo, veloce e marcio. In sostanza, la perfetta sintesi dell’underground, di cui la formazione lacustre è ferma sostenitrice, e niente più.
Il materiale di cui questo album si compone, infatti, suona quasi fuori dal tempo: è uscito da poche settimane, sì, ma potrebbe benissimo recare in calce la data 1994, tanto la formula è canonica e consolidata. E se per voi che leggete questo è un aspetto negativo, allora potete anche dirigere la vostra attenzione altrove, perché conoscendo l’atteggiamento (nel senso vero di attitude, di “stato mentale”) della band, è esattamente questo il risultato cui si voleva pervenire.
C’è tuttavia una nota dolente: il volume delle chitarre (addirittura due) è decisamente troppo basso rispetto a tutto il resto. Il risultato purtroppo smorza — almeno in parte — la carica di malvagità degli intrecci intessuti dai Khephra, lasciando in perenne primo piano la voce di Lord Of Pestilence e la batteria di Draughar, salvo forse nell’unico assolo del disco (ebbene sì, c’è un assolo, anche abbastanza lungo e di pregevole fattura), la conclusione di “Teresa 1400”. Premesso questo, tutto il resto è ampiamente godibile e apprezzabile: dai testi per gran parte in lingua madre, ma con alcuni episodi in inglese (“Teresa 1400”, “Eko Eko Pt. II”, “Michaela Angiolina Damasius”), al momento di “sperimentazione” con doppie voci e chitarra acustica (“Eko Eko Pt. I”).
Nonostante qualche ombra qua e là, come alcuni riff un po’ troppo simili tra loro (in questo senso gli attacchi di “Eko Eko Pt. II” e “La Notte Delle Streghe” sono parenti stretti) e un’espressività testuale non sempre efficacissima (le liriche del brano d’apertura, per quanto volutamente litaniache e cantilenanti, sono poco incisive), i Khephra confezionano dunque un disco più che buono, valido sotto più punti di vista, espressamente debitore del black metal più puro e “classico”, ma non per questo carente di personalità, anzi pregevole testimonianza delle capacità di una band che si fa beffe del passare degli anni e conserva inalterato l’ardore degli inizi, fedele alla causa della Nera Fiamma.