KHÔRADA – Salt
Diciamocelo da subito: c’era enorme attesa nei confronti della prima uscita targata Khôrada, visti i nomi coinvolti e tutta la (fortunatamente finita) telenovela sullo scioglimento degli Agalloch, che ha seguito di qualche mese la messa in pausa ufficiale dei californiani Giant Squid. La sempre attenta Prophecy Productions ha dato fiducia al nuovo progetto di Aaron Gregory, Don Anderson, Jason William Walton ed Aesop Dekker, pubblicando il debutto ufficiale Salt a luglio; un disco che, per una serie di motivi, è appena diventato la mia prima recensione per la nuova piattaforma di Aristocrazia Webzine.
Prima dell’uscita del singolo “Ossify”, non era chiarissimo cosa ci si potesse aspettare dai quattro, ma fu allora che con i primi due versi e qualche riff i Khôrada misero in luce un paio di cose. La voce fluida e ipnotica di Gregory esordisce subito con le parole «Cruelty of competition / The catastrophe of capitalism», mentre gli strumenti combinano letteralmente di tutto, dal metal al rock, al pop (?), in questo brano di circa undici minuti. Il fulcro tematico di Salt è — come ormai (giustamente) capita sempre più spesso nel mondo della musica estrema — il conflitto tra Capitale e Natura che sta giocando un ruolo fondamentale nella questione dei cambiamenti climatici, nonché nella distruzione delle risorse naturali e dello stato sociale («They will dig through our plastic cocoons»).
Esatto: basta con serpenti, creature mitologiche o stregoni, l’Avversario nella poetica di Aaron Gregory (autore di tutti i testi) non è altro che il pericolo più temibile del nostro tempo, il capitalismo. Già nella canzone di apertura “Edeste”, infatti, spunta l’ipotesi di una Natura allo stremo, «convinced it’s time for a sixth extinction event, before man has the chance to gnaw her to the bone». L’intero disco è estremamente politico e contiene riflessioni sullo stato delle cose, oltre ad attacchi ai potenti e a questo folle modello di esistenza. L’ultima pagina del libretto spiega anche le motivazioni che hanno spinto i Khôrada a impegnarsi in maniera così netta e senza compromessi.
Senza compromessi anche dal punto di vista musicale. Non rivolgetevi ai Khôrada se cercate semplicemente altri Agalloch o altri Giant Squid, non li troverete. Salt è il risultato della collaborazione di quattro musicisti che hanno unito insieme elementi diversi e molto personali, mettendoli al servizio del collettivo, senza la necessità di dover suonare cattivi. Un lavoro collettivo che ha coinvolto anche varie altre persone, tra cui Jackie Perez Gratz (violoncello) e Nathan Perkins (tromba). Era da qualche anno che non ascoltavo un Don Anderson così creativo e variegato alla chitarra, mentre la sezione ritmica di Walton e Dekker cambia tempo e stile a seconda delle necessità, in gran scioltezza.
Non si tratta un disco di facile assimilazione: può metterci un po’ a catturare davvero chi si avventura nel Wave State, ma una volta entrati nell’ottica giusta potreste fare fatica a tornare indietro. Se non si fosse ancora capito, consiglio caldamente di leggere con attenzione i testi, che sono una parte cruciale di Salt. I Khôrada si apprestano a partire per il loro primo tour degli Stati Uniti, insieme a gente come YOB e Thrones. Speriamo che l’anno nuovo possa portarli anche in Europa.
«The Earth does not need us. She will outlive us.»