LIGHTNING BOLT – Sonic Citadel
All’interno del panorama musicale odierno sono pochi i gruppi che riescono a mettere in atto, con un solo movimento, un’opera che è demolizione sistematica e sublime costruzione allo stesso momento. I Lightning Bolt sono uno dei gruppi che più di tutti ha la capacità di abbattere muri ideologici e pregiudizi di genere, andando a creare sonorità strazianti e viscerali che traggono spunto dalle correnti musicali più disparate. Questo duo, composto da Brian Gibson e Brian Chippendale, arriva finalmente a donarci Sonic Citadel, ultimo pezzo di una catena che, sin dai suoi primi anelli, mostra di essere il frutto di una ricerca artistica molto profonda, che arriva a scandagliare i deliri del free jazz così come le ritmiche tribali della musica aborigena.
Volendo esprimere brevemente ciò che caratterizza lo stile dei Lightning Bolt, si può cercare di rinchiuderli (forzatamente) all’interno di uno schema triangolare, avente come vertici il delirio sperimentale del free jazz, la pesantezza delle sonorità noise rock e il gusto math rock per tempi dispari e ritmiche al limite del raziocinio. All’interno di questa zona limitata, ma essenzialmente quasi infinita, dopo quasi cinque anni di attesa è emerso Sonic Citadel, che a mio parere sale sul podio dei migliori dischi di quest’anno che si sta avviando alla conclusione. Ciò che sorprende, e che probabilmente rende questo disco il più orecchiabile della discografia del gruppo, è la natura pop che distingue molti brani. Non mi si fraintenda quando utilizzo la parola pop, per carità: desidero intendere unicamente la naturale orecchiabilità e fruibilità di un particolare brano, opposte ai frutti, molte volte poco digeribili, della sperimentazione musicale. Pezzi come “USA Is A Psycho”, “Husker Don’t” (citazione che già di per sé ha fatto guadagnare punti) e “Halloween 3” hanno strutture ritmiche, riff e ritornelli che si prestano a essere canticchiati sotto la doccia e a entrare prepotentemente nella testa dell’ascoltatore.
Questa caratteristica, però, non è propriamente inedita nei Lightning Bolt; la loro vena clownesca e il loro amore per tutto ciò che è colorato e godibile sono sempre stati presenti, ma nei lavori precedenti erano parzialmente celati sotto numerosissimi strati di distorsioni, velocità e caos, tanto da essere difficilmente rilevabili. Con Sonic Citadel si assiste a un lavoro di erosione molto più efficace, che riesce a far emergere in modo distinto questo loro lato più accessibile, senza però rinnegare il fascino per il caos: in mezzo a molti momenti orecchiabili sono infatti seppelliti degli ordigni inesplosi di puro delirio, pronti a detonare al minimo stimolo (la suite conclusiva “Van Halen 2049” ne è la prova). Tutto ciò che è contenuto in queste undici gemme musicali non fa che provare ulteriormente l’unicità di questo duo, uno degli ultimi reggimenti rimasti a difesa di una cittadella artistica variopinta, sospesa tra le nubi, inespugnabile, ma allo stesso tempo delirante e struggente.