LILI REFRAIN – Mana
Gruppo: | Lili Refrain |
Titolo: | Mana |
Anno: | 2022 |
Provenienza: | Italia |
Etichetta: | Subsound Records |
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TRACKLIST
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DURATA: | 40:15 |
Sono passati quindici anni dalla nascita artistica di Lili Refrain, dall’omonimo disco uscito nel 2007 che ha segnato l’inizio di una sperimentazione e una crescita personale notevoli per l’artista romana, sempre a braccetto con Subsound Records: un progetto solista che più solista non si può, dato che a occuparsi di tutto è sempre lei, tra voci, strati su strati di chitarre in loop, effetti e percussioni. Kawax e ULU — che a onor del vero era una sorta di antipasto — ci erano piaciuti parecchio, con il loro piglio esoterico-ritualistico, e personalmente sono molto contento che non siano passati altri sette anni prima dell’arrivo del nuovo Mana.
Per spiegare il titolo si potrebbe fare semplicemente riferimento alla cultura pop: chi ha anche solamente sentito parlare di Magic: The Gathering saprà che il mana è l’energia necessaria per sfruttare le carte e le abilità in possesso del giocatore. Un concetto indubbiamente vicino a quello di origine, dato che nella mitologia melanesiana e polinesiana il mana è l’energia vitale che permea tutto l’Universo. Un aggettivo che mi viene in mente per questo disco è antropologico, un’opera che spazia da un angolo all’altro del globo analizzando entità divine, aspetti filosofici e credenze che si ricollegano a quell’unica forza interiore e spirituale che muove e caratterizza popoli interi.
Il lavoro che svolge Lili Refrain è notevole e, nonostante la sua assoluta coerenza, Mana si presta bene a essere analizzato a scaglioni. Il trittico iniziale prende a piene mani dalle filosofie orientali e soprattutto dal Giappone: “Ki”, l’energia vitale presente in ogni organismo, si manifesta nel “Kokyu”, lo spostamento del ki all’esterno del corpo, che ha quindi un effetto e un’influenza sugli altri (“Eikyou”). In queste tre tracce si vede già l’abilità di Lili con le armonie vocali e le sovraincisioni, e in generale nel ricreare quelle atmosfere ipnotiche e ritualistiche con il sapiente uso di sintetizzatori e percussioni.
La parte centrale del disco è un viaggio da un continente all’altro, tra entità immortali, figure umane e cose inanimate-ma-non-proprio. Dall’Antica Grecia proviene il tema di “Ichor”: l’icore è la sostanza che scorre nelle vene degli immortali, velenosa per la gente comune, e Lili sembra dar voce a questa dicotomia attraverso uno scambio di vocalizzi più acidi e umani con altri lirici e divini, il tutto su un sobrio tappeto di tastiere e tamburi al limite dell’essenziale. Senza soluzione di continuità si passa a “Sangoma”, figura sciamanica dell’Africa meridionale legata alla divinazione e al culto degli antenati: sulla stessa identica parte strumentale si aggiunge il canto gutturale, che immette un elemento più tribale rispetto al resto.
“Mami Wata” è una delle vette espressive di Lili Refrain e di Mana: complessa e articolata, con intrecci di voci dalle forme più varie. Un po’ come la figura di riferimento, entità dalle sembianze femminili spesso descritta come una sirena, venerata — e temuta — dalle popolazioni africane e in tutta la zona interessata dalla diaspora (America Centrale, Caraibi e dintorni). A chiudere quest’altra parentesi è il fuoco, elemento estremamente importante per l’umanità tutta fin dai suoi albori: procedendo con ritmi tribali e primitivi, lo sguardo si sposta di nuovo in Oceania, da dove ha origine il concetto di mana e dove gli “Ahi Tapu” sono una serie di fuochi sacri che prendono nomi specifici a seconda del rito in cui vengono impiegati.
“Travellers” e “Earthling” chiudono il disco in bellezza: due brani con sonorità agli antipodi, il primo decisamente più concreto, con la chitarra in primo piano, e il secondo che riprende un po’ quanto ascoltato in precedenza. Ciononostante, Lili Refrain riesce a condensarvi tutto ciò che accomuna e che è alla base dell’intera civiltà umana: non siamo altro che il frutto di millenni di migrazioni, tutti abitanti di un singolo pianeta chiamato Terra.