Majesties - Vast Reaches Unclaimed | Aristocrazia Webzine

MAJESTIES – Vast Reaches Unclaimed

Gruppo: Majesties
Titolo: Vast Reaches Unclaimed
Anno: 2023
Provenienza: Stati Uniti
Etichetta: 20 Buck Spin
Contatti: Instagram  Spotify
TRACKLIST

  1. In Yearning, Alive
  2. The World Unseen
  3. Our Gracious Captors
  4. Verdant Paths To Radiance
  5. Across The Neverwhen
  6. Seekers Of The Ineffable
  7. Sidereal Spire
  8. Temporal Anchor
  9. City Of Nine Gates
  10. Journey’s End
DURATA: 38:33

Il debutto dei Majesties è il classico disco che si può sbolognare in due parole, anzi una parola e un numero: Göteborg 1995. Tanto basta per spiegare chi, cosa, come, dove, quando e perché, e apparentemente non c’è nulla da aggiungere. Poco si può dire, d’altronde, di un album di vero e proprio revival, che non cerca nemmeno lontanamente di nascondere la propria origine, la sua essenza di tributo e di lavoro in buona sostanza derivativo. Di nuovo, apparentemente. Per chi ha voglia di andare un po’ più a fondo invece, Vast Reaches Unclaimed è un vero e proprio bagno di ricordi, un tuffo in un passato che negli ultimi anni è stato troppo spesso bistrattato e preso a picconate dagli stessi nomi che quel passato hanno contribuito a renderlo un cardine del percorso di sviluppo del metal estremo.

Meglio però procedere con ordine: i Majesties sono un progetto di Tanner Anderson (Obsequiae), Matthew Kirkwold e Carl Skildum (già insieme negli Inexorum, nonché membri live proprio degli stessi Obsequiae), cui nel corso del 2022 si è aggiunto il batterista John Kerr (Seidr e Pyrithe, tra gli altri). Il loro obiettivo, appunto, è quello di dare nuovo lustro a tutto ciò che il death metal di scuola Göteborg ha fatto di buono fino al 1997. Parole di Anderson stesso: «Odio profondamente quasi tutto quello che è uscito dopo il 1997, salvo qualche rara eccezione». Senza se e senza ma, Vast Reaches Unclaimed ci riesce, forse addirittura troppo bene. Troppo bene perché, sentendo le chitarre che si intrecciano in un andirivieni di riff e melodie, il confronto con ciò che sono oggi i gruppi di Göteborg che prima del ‘97 sfornavano capolavori a nastro è impietoso a dir poco. Troppo bene perché fin dall’opener “In Yearning, Alive” il riferimento inevitabile è The Jester Race, e se penso che oggi gli In Flames vengono osannati perché hanno pubblicato per la prima volta in quasi vent’anni un disco che non fa eccessivamente schifo mi viene lo sconforto.

Non solo i riff di Jesper Strömblad, i Majesties vanno in profondità, e recuperano spunti dai primi Gardenian di Niclas Engelin, dai Sacrilege di Daniel Svensson (incredibile come gli In Flames del 1998 avessero un tale potenziale e siano riusciti a buttarlo nel cesso così in fretta), dagli Ablaze My Sorrow, dagli Eucharist. E anche in questi ultimi due casi, è confortante e desolante allo stesso tempo vedere come una band formata da gente che solitamente fa tutt’altro riesca a ridare vigore a un sound che invece gli stessi Ablaze My Sorrow ed Eucharist, al netto di reunion e contro reunion, sembra non sappiano più come approcciare.

Tuttavia sarebbe sminuente trattare il lavoro del gruppo di Minneapolis come solo revival, perché i musicisti, arzilli trentacinquenni se non quarantenni, hanno una consapevolezza e una competenza musicale che spesso ai gruppi di cui sopra all’epoca mancavano per evidenti ragioni anagrafiche; The Jester Race è stato pur sempre registrato da ragazzi ventenni. Questa maturità fa sì che il disco non sia soltanto un ottimo tributo, ma anche un grande esempio di personalità, e pur non uscendo mai dal seminato i Majesties mettono a referto una prova perfetta. Non c’è un brano che non abbia un riff azzeccato, le cui melodie non siano evocative e che non abbia quel retrogusto anni ‘90 ben in evidenza.

Inutile girarci intorno, questo è un album nato già vecchio, eppure erano tanti, troppi anni che non si sentiva un disco melodeath che suonasse bene, che avesse due palle cubiche e che non fosse l’ennesimo tentativo di riciclaggio pseudo-metalcore (In Flames), una sbrodolata senza capo né coda per cercare di avvicinarsi al black-death che va tanto di moda oggi (Eucharist), o semplicemente un album privo di ispirazione (Ablaze My Sorrow, ma anche e purtroppo tutti gli altri). Dalla copertina di Juanjo Castellano alla produzione di Adam Tucker, tutto ha una patina vagamente impolverata, come se Vast Reaches Unclaimed fosse stato tirato fuori da un baule accantonato in una soffitta in cui nessuno metteva piede da tanti, tanti anni. Chissà che Anderson e soci non abbiano riaperto questo baule una volta per tutte.

Benvenuti Majesties, non mi ero mai reso conto di quanto avessi bisogno di voi.